Con rinnovato stupore

Quante volte Gesù, il rabbì che amava i banchetti, è andato a cena con i suoi discepoli in case di farisei o di pubblicani o di pubblici peccatori come Matteo Levi o Zaccheo. Mai però era arrivato a tanto, cioè a fare della tavola un luogo di rivelazione: Questo è il mio corpo. Solo alla fine, nell'ultima cena, Gesù ha rivelato il senso ultimo e più profondo di tutte quelle altre cene e banchetti: non per semplice amicizia né per simpatia o affinità elettiva. Non per anticonformismo. Ma semplicemente e unicamente per amore. Un amore capace di una donazione di sé che giunge a spezzarsi per l'altro, come il pane spezzato per voi e per tutti.
All'inizio del Triduo pasquale, cuore del cuore dell'anno liturgico, mentre ancora il profumo di nardo dell'unzione di Betania rimane nell'aria, il profeta tesse il canto dell'Agnello, mostrando come il suo dono nel corpo viene offerto
per consolare tutti gli afflitti, 
per dare agli afflitti di Sion una corono invece della cenere,
olio di letizia invece dell'abito da lutto,
veste di lode invece di uno spirito mesto (cfr. Is 61,1-9)
Tutti i doni di grazia celebrati in questi giorni, dal sacerdozio all'eucaristia fino alla chiesa stessa attingono ad una pienezza che solo appena intravediamo in modo confuso eppure certo: e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto (cfr. Ap 1,5-8).
E mentre i cuori e gli sguardi di tanti sono catturati dall'illusione dell'effimero e gli antichi riti proposti dalla liturgia appaiono come folclore agli occhi di non è più capace di stupore, risuona ancora una volta - maestoso e discreto - il cantico dell'Agnello che annuncia la Sua donazione senza fine:
Sì, Amen! Dice il Signore Dio: io sono l'Alfa e l'Omèga, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!

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