II domenica del Tempo Ordinario - A

Diversamente dai nostri incontri più importanti, di cui di solito ricordiamo molti dettagli oltre al luogo e l’ora, dell’incontro tra Gesù e Giovanni non ci sono tracce geografiche precise, non c’è alcun riferimento spazio-temporale. I versetti precedenti lasciano intendere che avviene nei pressi del Giordano, come riporta il versetto precedente, tra Gesù e il Battista, ma nulla di più. Perché? Perché Giovanni vuole consegnarci l’essenziale della persona di Gesù, cioè il fatto che egli è Colui che viene, che è l’agnello di Dio che porta su di sé il peccato perché su di lui è disceso e rimane lo spirito. Ecco perché Giovanni lo riconosce come il figlio di Dio.
Evidentemente è un testo molto elaborato, più che la cronaca di un incontro. È la confessione ecclesiale della fede in Gesù. Il quarto Vangelo attinge ai dati della tradizione sinottica, ma li rielabora in modo originale e potente, mostrando come la rivelazione cristologica viene mediata da una testimonianza umana. Giovanni Battista diventa la figura esemplare del credente, cioè di colui che offre una coraggiosa testimonianza pubblica ed ufficiale di Gesù.

Giovanni vede Gesù venire verso di lui (Gesù è il veniente per eccellenza) e lo appella con il titolo pasquale di Agnello di Dio, profetizzando circa la sua identità messianica. Perché l’agnello toglie «peccati del mondo»? La pratica espiatoria di imporre sul capo di un agnello i peccati del popolo per poi lasciarlo andare per il deserto è documentata in Lev 4,22-26. Nell’AT l’espressione ricorre sia in Es 12,1-8 (l’agnello pasquale), sia in Is 53,7 in riferimento alla misteriosa figura del servo sofferente (era come agnello condotto al macello) e in Ger 11,19 riferito alla vita del profeta (io, come agnello che viene portato al macello). Si tratta quindi di un titolo che ha differenti significati nell’AT e che nel NT ricorre qui in Gv 1,29.36 e in At 8,32 e 1 Pt 1,19, sempre riferiti a Gesù. È il titolo più importante (anche rispetto a Figlio di Dio).
L’effetto del sacrificio pasquale dell’agnello è quello di togliere il peccato del mondo, che è un’immagine dal duplice significato: 1) l’agnello prende sulle proprie spalle il peccato (Condivisione/solidarietà con gli uomini); 2) l’agnello genera un’umanità capace di vincere il peccato (liberazione definitiva dal male).
Era prima di me e io non lo conoscevo: con queste parole Giovanni esprime la pre-esistenza del Verbo. È l’idea del messia davidico e profetico sconosciuto (come il giovane Davide, sconosciuto a Samuele: 1 Sam 16,11).

Il Figlio di Dio è insieme colui che elimina il peccato del mondo e colui che battezza nello Spirito Santo. È questo il contenuto della testimonianza di Giovanni: ho visto lo Spirito Santo discendere e rimanere su di lui. Diversamente dai vangeli sinottici, in cui è Gesù a vedere lo Spirito Santo posarsi su di lui, nel quarto Vangelo è Giovanni Battista a vedere e a testimoniare. Lo Spirito Santo non solo scende e poi se ne va, ma scende e rimane su Gesù ed è un rimanere particolarmente significativo, cioè è stabile, definitivo. Per sempre.
Questo vale anche per noi che siamo stati battezzati in Lui. Nulla ci può togliere lo Spirito che rimane anche in noi, nessuna prova o avversità della vita.

E io ho visto e ho reso testimoniato che questi è il Figlio di Dio. La testimonianza di Giovanni si conclude con il riconoscimento di Gesù come il Figlio di Dio. È la Chiesa che attribuisce a Gesù questo importante titolo cristologico e riconosce Gesù di Nazaret come il Figlio di Dio, non senza polemica contro chi non lo riconosce così (vedi l’accentuazione sulla responsabilità dei Giudei ripetutamente denunciata nel Vangelo di Giovanni). Il Verbo incarnato è riconosciuto come il Figlio unigenito del Padre. Il termine figlio esprime la persona del Figlio in relazione con il Padre e lo Spirito.

Anche noi nel Battesimo siamo divenuti figli nel Figlio. Questa è la nostra fede ed è anche il motivo della nostra gioia.

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