Evangelii Gaudium: profezia e paradosso

L’esortazione pastorale Evangelii Gaudium non è un convenzionale ‘documento’ di sintesi, ma un audace ‘manifesto’ programmatico. I 288 numeri che formano i cinque capitoli dell’esortazione costituiscono la paziente tessitura di un testo complesso, coraggioso e prezioso. Complesso, ma di una complessità che non è di ordine concettuale, bensì spirituale, che chiama in causa una conversione dello sguardo e del cuore. Coraggioso perché, facendo sue le proposizioni dei vescovi espresse nel Sinodo dell’ottobre 2012 sul tema della nuova evangelizzazione, Francesco invita tutta la Chiesa a riscoprire la gioia del Vangelo, cioè ad «entrare in un deciso processo di discernimento, purificazione e riforma» (n. 30). Prezioso perché mette in chiaro che quanto viene affermato non ha solo un valore ‘esortativo’, ma ha «un significato programmatico e conseguenze importanti» (n. 25) per il cammino della Chiesa a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II.

Un solo imperativo: uscire!
Francesco prospetta una consistente trasformazione della Chiesa che egli riassume nella formula della «Chiesa in uscita missionaria» (n. 17). La «nuova evangelizzazione» consiste quindi in una nuova “uscita” contro ogni ripiegamento e ogni tristezza: «Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo» (n. 49). Tale rinnovamento non riguarda evidentemente cambiamenti sul piano dottrinale (come paventato da alcune recenti frettolose interpretazioni giornalistiche), ma ha come obiettivo riguadagnare il terreno perduto sul piano dell’attrattiva, per riscoprire la freschezza evangelica ed evitare il rischio che la Chiesa diventi solo «un castello di carte» (n. 40) e arrivare ad una «riforma delle strutture» (n. 27), come risulta anche dal linguaggio molto diretto utilizzato nel testo: «Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37)» (n. 49). Ecco perché il lessico utilizzato è molto ricco di parole («fervore», «ardore», «impulso», «amore») che indicano bene che cosa si intenda per «una nuova tappa evangelizzatrice» (n. 1). Tra tutte, però, le principali parole-chiavi della prima esortazione di papa Bergoglio, il quale porta con sé l’esperienza e la sensibilità dell’episcopato latino-americano (come appare dai numeri riferimenti in nota), sono quattro: popolo di Dio, riforma missionaria, mistica della fraternità, privilegio per i poveri.

Facilitatori, non doganieri
L’asse portante del progetto di riforma di Francesco riguarda il primato del popolo di Dio nell’azione evangelizzatrice. Tutti i membri della Chiesa sono chiamati all’evangelizzazione in ragione dell’azione dello Spirito Santo: «In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”» (n. 119). Il lettore si trova così di fronte ad un Papa che non ‘dichiara’, ‘decreta’ o ‘stabilisce’, ma sogna: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (n. 27). Per realizzare questo sogno francescano occorre recuperare il terreno perduto, cioè riavvicinarsi alla vita concreta e quotidiana delle persone. Come? Recuperando il «gusto spirituale di rimanere vicini alla gente» (n. 268), favorendo l’ingresso nella casa paterna e non comportandosi come doganieri e controllori della grazia (cfr. n. 47). Quella che viene definita come dimensione sociale dell’evangelizzazione va intesa in senso autenticamente ‘pastorale’. Non sorprende, perciò di incontrare anche un’altra parola, forse la più inaspettata di tutto il testo: mistica.

La dimensione mistica della gioia
Francesco utilizza questo termine in vari contesti, riferita all’adesione della fede (n 70), alle nuove forme di comunicazione globale con la relativa percezione di «vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (n. 87), alla fraternità (n. 92), alla spiritualità popolare (n. 124 e 272). In termini più teologici, di tratta di «partire dalla connaturalità affettiva» (n. 125) con l’esperienza di fede dei più poveri: «Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli» (n. 48). Solo il papa che ha osato chiamarsi Francesco poteva ricordarlo in modo così netto: «Gesù Cristo non ci vuole come principi che guardano in modo sprezzante, ma come uomini e donne del popolo. Questa non è l’opinione di un Papa né un’opzione pastorale tra altre possibili; sono indicazioni della Parola di Dio così chiare, dirette ed evidenti che non hanno bisogno di interpretazioni che toglierebbero ad esse forza interpellante. Viviamole “sine glossa”, senza commenti. In tal modo sperimenteremo la gioia missionaria di condividere la vita con il popolo fedele a Dio cercando di accendere il fuoco nel cuore del mondo» (n. 271).

Profezia e paradosso
Evangelii gaudium è un testo molto ricco, articolato e denso ma non per questo ‘difficile’. L’unica difficoltà consiste casomai nell’accogliere concretamente il sogno di Francesco, cioè la fatica della conversione al Vangelo, come auspicata nella grande ‘uscita’ rappresentata dal Vaticano II e rilanciata in uno degli scritti più felici di Paolo VI, Evangelii nuntiandi. Non c’è dubbio che si tratta quindi di un testo profetico in cui viene riproposto all’attenzione il paradosso evangelico: perché il chicco di grano porti frutto, deve accettare di morire. Solo così germoglierà qualcosa di nuovo (cfr. Is 43,19; Gv 12,24). Il profumo e la gioia del Vangelo sono frutti della Pasqua e sanno di morte e di risurrezione («Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione», n. 276). È questa l’autentica quota evangelica che papa Francesco invita tutta la Chiesa a raggiungere e a mantenere.






Commenti

Post popolari in questo blog

Con rinnovato stupore

Lo zappatore

Come sentinelle nel cuore della notte