Evangelii Gaudium: profezia e paradosso

Un solo
imperativo: uscire!
Francesco prospetta una consistente
trasformazione della Chiesa che egli riassume nella formula della «Chiesa in
uscita missionaria» (n. 17). La «nuova evangelizzazione» consiste quindi in una
nuova “uscita” contro ogni ripiegamento e ogni tristezza: «Usciamo, usciamo ad
offrire a tutti la vita di Gesù Cristo» (n. 49). Tale rinnovamento non riguarda
evidentemente cambiamenti sul piano dottrinale (come paventato da alcune recenti
frettolose interpretazioni giornalistiche), ma ha come obiettivo riguadagnare
il terreno perduto sul piano dell’attrattiva, per riscoprire la freschezza
evangelica ed evitare il rischio che la Chiesa diventi solo «un castello di
carte» (n. 40) e arrivare ad una «riforma delle strutture» (n. 27), come
risulta anche dal linguaggio molto diretto utilizzato nel testo: «Più della
paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture
che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici
implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è
una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da
mangiare” (Mc 6,37)» (n. 49). Ecco perché il lessico utilizzato è molto ricco
di parole («fervore», «ardore», «impulso», «amore») che indicano bene che cosa
si intenda per «una nuova tappa evangelizzatrice» (n. 1). Tra tutte, però, le
principali parole-chiavi della prima esortazione di papa Bergoglio, il quale
porta con sé l’esperienza e la sensibilità dell’episcopato latino-americano
(come appare dai numeri riferimenti in nota), sono quattro: popolo di Dio,
riforma missionaria, mistica della fraternità, privilegio per i poveri.
Facilitatori,
non doganieri
L’asse portante del progetto di
riforma di Francesco riguarda il primato del popolo di Dio nell’azione
evangelizzatrice. Tutti i membri della Chiesa sono chiamati
all’evangelizzazione in ragione dell’azione dello Spirito Santo: «In tutti i
battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito
che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa
unzione che lo rende infallibile “in credendo”» (n. 119). Il lettore si trova così
di fronte ad un Papa che non ‘dichiara’, ‘decreta’ o ‘stabilisce’, ma sogna: «Sogno
una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini,
gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un
canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per
l’autopreservazione» (n. 27). Per realizzare questo sogno francescano occorre
recuperare il terreno perduto, cioè riavvicinarsi alla vita concreta e
quotidiana delle persone. Come? Recuperando il «gusto spirituale di rimanere
vicini alla gente» (n. 268), favorendo l’ingresso nella casa paterna e non
comportandosi come doganieri e controllori della grazia (cfr. n. 47). Quella
che viene definita come dimensione sociale dell’evangelizzazione va intesa in
senso autenticamente ‘pastorale’. Non sorprende, perciò di incontrare anche
un’altra parola, forse la più inaspettata di tutto il testo: mistica.
La
dimensione mistica della gioia
Francesco utilizza questo termine
in vari contesti, riferita all’adesione della fede (n 70), alle nuove forme di
comunicazione globale con la relativa percezione di «vivere insieme, di
mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di
partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera
esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio»
(n. 87), alla fraternità (n. 92), alla spiritualità popolare (n. 124 e 272). In
termini più teologici, di tratta di «partire dalla connaturalità affettiva» (n.
125) con l’esperienza di fede dei più poveri: «Occorre affermare senza giri di
parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non
lasciamoli mai soli» (n. 48). Solo il papa che ha osato chiamarsi Francesco poteva
ricordarlo in modo così netto: «Gesù Cristo non ci vuole come principi che
guardano in modo sprezzante, ma come uomini e donne del popolo. Questa non è
l’opinione di un Papa né un’opzione pastorale tra altre possibili; sono
indicazioni della Parola di Dio così chiare, dirette ed evidenti che non hanno
bisogno di interpretazioni che toglierebbero ad esse forza interpellante.
Viviamole “sine glossa”, senza commenti. In tal modo sperimenteremo la gioia
missionaria di condividere la vita con il popolo fedele a Dio cercando di
accendere il fuoco nel cuore del mondo» (n. 271).
Profezia e
paradosso
Evangelii
gaudium è un testo molto ricco, articolato e denso ma non per questo ‘difficile’.
L’unica difficoltà consiste casomai nell’accogliere concretamente il sogno di
Francesco, cioè la fatica della conversione al Vangelo, come auspicata nella
grande ‘uscita’ rappresentata dal Vaticano II e rilanciata in uno degli scritti
più felici di Paolo VI, Evangelii
nuntiandi. Non c’è dubbio che si tratta quindi di un testo profetico in cui
viene riproposto all’attenzione il paradosso evangelico: perché il chicco di
grano porti frutto, deve accettare di morire. Solo così germoglierà qualcosa di
nuovo (cfr. Is 43,19; Gv 12,24). Il profumo e la gioia del Vangelo sono frutti
della Pasqua e sanno di morte e di risurrezione («Dove sembra che tutto sia
morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione», n.
276). È questa l’autentica quota evangelica che papa Francesco invita tutta la
Chiesa a raggiungere e a mantenere.
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