Fraintendimenti

Non sempre sono un abile regista con le parole. Lo ammetto con tutta franchezza. Questo - oltre al poco tempo - è il motivo per cui, pur accettando la sfida del blog, mi limito a pochi post. Ma di questo non penso che ne soffra nessuno, anzi.
Non ho poi nessun guru della comunicazione che mi consiglia su cosa fare o non fare, pubblicare o non pubblicare. Non ho pianificato nessuna strategia comunicativa. Questa finestra nel web è solo come la classica bottiglia lanciata nell'oceano con un messaggio dentro. Se qualcuno ci trova dentro qualcosa di utile, bene. Altrimenti la lasci andare.
Due giorni fa ho postato alcuni celebri versi di una poetessa ebrea, Mary Gales Ryan, che ho trovato in una raccolta di omelie. Non li ho commentati per il semplice fatto che a me parevano molto limpidi e aggiungo pure luminosi. La vedevo come una possibile allusione a quell'estremo 'mettersi da parte' che è lo 'svuotamento' della croce (cfr. Fil 2).
La mia nativa ingenuità si è manifestata nel presumere che altri potessero così interpretare quelle parole, magari con la complicità dell'imminente settimana santa... Ovviamente non è andata così. Da che mondo è mondo ognuno interpreta ciò che legge a modo suo. Niente da eccepire e piena libertà di interpretare. E di dissentire. ci mancherebbe. Se la mia imprudenza comunicativa ha involontariamente scandalizzato la fede di qualcuno, mi rammarico e cercherò di vigilare di più sui miei post, pur non ritenendoli necessariamente, però, materia su cui dover sostenere altri esami di teologia. Per quelli ci sono altre sedi, non un blog sul web. Se si tratta invece di processare le intenzioni, allora è un altro discorso e non entro nel merito.

L'episodio - in sé molto banale - mi ha fatto venire in mente le osservazioni di Jean-Luc Nancy nel saggio Prendere la parola (Moretti &Vitali, Bergamo 2013) circa l'indisponibilità della parola: "Prendere la parola svolge senza dubbio un ruolo di sfogo, di catarsi e di affermazione di sé, sia che si intervenga per motivi validissimi, sia che si ceda a una pulsione più o meno selvaggia. (...) La parola è, per sua essenza, per struttura e per destinazione, indirizzata. Essa non è niente di più, in fin dei conti, che un indirizzo. Né il suo destinatario né il suo emittente sono mai chiaramente identificabili, ma resta certo che essa è indirizzata, inviata, lanciata, destinata: ciò che si essa bisogna conoscere non è che il suo invio".

Ma c'è anche un altro collegamento - forse ancora più interessante - che mi è venuto in mente a proposito di fraintendimenti: è il drammatico gioco di fraintendimenti che regge la costruzione narrativa nel Vangelo di Giovanni. Sono numerosi gli esempi, da Nicodemo (Gv 3,4) alla Samaritana (Gv 4, 5) fino al drammatico scontro finale con i Giudei sul tempio (Gv 2,21) e su Abramo (Gv 8,48-58). Gesù attira un tale livore su di sé che alla fine le pietre prevalgono sulle parole (cfr. Gv 10,31-39). E quando le pietre prendono il posto delle parole l'ora della Gloria si confonde con l'ora della Croce: e si fece buio su tutta la terra (Lc 23,44).
Entriamo nella settimana di passione, dove viene smascherata ogni ambiguità del cuore umano. E il volto sfigurato del Crocifisso reo di aver bestemmiato diventa - paradosso dei paradossi - un dolce volto...

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