La porta della misericordia
«Senza la
misericordia la nostra teologia, il nostro diritto, la nostra pastorale corrono
il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia, che di
natura sua vuole addomesticare il mistero»[1]. Queste incandescenti
parole di Francesco, tese ribadire lo scarto tra l’infinito mistero di Dio e il
cuore umano, sempre tentato di chiudersi in se stesso, offrono una pista per
interpretare la Bolla papale Misericordiae
vultus che indice il Giubileo straordinario della Misericordia[2]. Il tema è da ‘prima
linea’ sul fronte caldo dei vari temi presenti nell’agenda ecclesiale – in
particolare quella italiana –, anche per motivi contingenti (le date), ma soprattutto
dal punto di vista teologico e pastorale.
L’Anno di
Grazia Straordinario inizierà il prossimo 8 dicembre, 50° anniversario della
solenne conclusione del concilio Vaticano II e durerà fino al 20 novembre 2016,
festa di Cristo re, «cioè di Cristo re dell’universo e volto vivente della
misericordia»[3].
Francesco non è il primo papa ad indire un Giubileo straordinario al di fuori della ‘scadenza’ dei 25 anni (stabilita
da Paolo II nella seconda metà del XV sec). Giovanni Paolo II indisse un Anno Santo
straordinario nel 1983 in
occasione del 1950º anniversario della Morte e Risurrezione di Cristo, mentre
Benedetto XVI ha proclamato l'Anno Paolino
(28 giugno 2008 -
29 giugno 2009),
in occasione del bimillenario della nascita Paolo (collocata dagli storici tra
il 7 e il 10 d.C.) e l’Anno della Fede (11 ottobre 2012, cinquantesimo
anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II – 24 novembre 2013,
trentesimo anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica). Da
quando la Chiesa celebra i giubilei ne sono stati celebrati 29 di cui 24
ordinari e 5 straordinari. Di questi ultimi cinque, tre sono stati celebrati
negli ultimi 100 anni.
L’intensificarsi
della frequenza degli Giubilei e
degli Anni Straordinari anche questo è un ulteriore segnale dello spirito della
nostra epoca, cioè del fatto che stiamo vivendo in un tempo dove si moltiplicano
gli eventi straordinari, tutto è accelerato e anche un po’ ingorgato. Lo
straordinario sembra prevalere sul ritmo ordinario e il centro della vita di
fede rischia di diventare sempre più mediatizzato e centralizzato. Nel contesto
dell’ipermodernità, la marginalità – o la ‘periferia’ – risulta essere di fatto
la dimensione che più connota anche il cristianesimo, come ha acutamente
osservato un teologo di razza come P. Sequeri[4]. In Italia, oltre alla
preparazione al Sinodo ordinario dei Vescovi sulla famiglia (4-25 ottobre) e al
Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze (9-13 novembre), l’annuncio
di un giubileo straordinario aumenta la percezione dell’urgenza e di un tempo di vita ecclesiale molto intenso.
L’urgenza effettiva di una nuova spinta missionaria
«Ho deciso di
indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di
Dio. Sarà un anno santo della misericordia». L’annuncio del 13 marzo scorso è
stato accolto con un certo stupore ed è rimbalzato immediatamente su tutte le
piattaforme mediatiche del pianeta. Papa Francesco continua a stupire e a
compiere scelte che danno appunto il senso dell’urgenza, tipico dell’«ospedale
da campo». Tuttavia non è l’urgenza propria di chi vuole rompere con la
tradizione, ma di chi vuole mantenere alta la tensione spirituale e far uscire
da una certa consolidata routine,
come già indicavano alcuni passaggi a dir poco dirompenti dell’esortazione
pastorale Evangelii gaudium, come il
n. 49. Il Giubileo straordinario della misericordia vuol stimolare ad «una
nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre» (MV. 4). Interessante notare che nei testi di Francesco il
riferimento alla cosiddetta «nuova evangelizzazione» è piuttosto sobrio e si
trova solo una volta nella Bolla e per inciso, al n. 12: «Nel
nostro tempo, in cui la Chiesa è impegnata nella nuova evangelizzazione, il
tema della misericordia esige di essere riproposto con nuovo entusiasmo e con
una rinnovata azione pastorale».
Mettere al centro dell’Anno Santo
la misericordia e la sua porta richiama per certi aspetti l’iniziativa dell’Anno
della fede voluto da Benedetto XVI. La differenza sta nel fatto che Benedetto
invitava i nuovi Gentili ad attraversare la Porta
fidei; Francesco invita la Chiesa (dunque i credenti) ad aprire la porta misericordiae verso tutti.
Benedetto incalzava in modo quasi martellante nei suoi discorsi sulla necessità
di un allargamento del lògos della
fede a fronte del relativismo etico e dell’ateismo che stanno desertificando il
mondo occidentale ed in particolare la vecchia Europa; Francesco non manca
occasione di rilanciare la centralità della misericordia per il nuovo passo in
avanti nella missione della Chiesa. Le due insistenze (o urgenze) del magistero
pontificio non sono alternative, ma complementari e tuttavia – come vedremo –
rappresentano una sfida da raccogliere per pensare insieme l’intelligenza della
fede (istanza del lògos) nella sua
assoluta novità e unicità (istanza del kerigma).
Francesco
esplicita che l’ispirazione gli viene dalla lettera enciclica di Giovanni Paolo
II del 1980 Dives in misericordiae,
la seconda appena dopo ed in collegamento con Redemptor Hominis. Il card. Kasper offre una suggestiva cornice storica
per collocare l’iniziativa di Francesco, con riferimenti alla filosofia, alla
letteratura e ai santi del Novecento, compresa la prima canonizzazione
programmatica del nuovo millennio: quella della suora mistica polacca Faustina
Kowalska (1905-1938) il 30 aprile 2000[5].
L’annuncio
della misericordia ‘cade’ in una cultura e un contesto radicalmente
secolarizzati e scristianizzati, caratterizzati dai fenomeni della
«de-credenza» («décroyance»,
neologismo coniato dal card. P. Poupard) e dall’«apateismo» (neologismo coniato
dal card. G. Ravasi e formato dai termini apatia e ateismo) e di forte
dispersione. Occorre distinguere però il solito ‘elenco’ delle vecchie
stanchezze e tristezze (europee ed eurocentriche) e il tempo della «nuova
primavera» (E. Bianchi) della Chiesa (globale) rilanciata da Francesco. Il
nostro contesto occidentale segnala una forte nostalgia per l’umano autentico, pur se tutto questo è impastato in
un contesto antropologico e culturale di forte dispersione.
Riscoprire la «medicina della misericordia» per curare
l’umano
Nel contesto
appena abbozzato, alla metafora spaziale della «Chiesa in uscita» fa da
corollario la metafora dell’ospedale da campo, icona dell’agire misericordioso
di Dio attraverso la sua Chiesa: «la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna
dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa» (EG 47). L’affermazione suona programmatica, per cui, oltre alla
‘retorica’ profetica dell’immaginazione spaziale, vale il principio della
spinta missionaria: non solo «una Chiesa povera con i poveri» (EG 198), cioè una Chiesa «più povera»,
ma una Chiesa povera capace di condivisione «con i poveri» (EG 57). Il
lessico della misericordia non è nuovo nella prassi ecclesiale: già Giovanni
XXIII aveva indicato il ricorso alla «medicina della misericordia» all’inizio
del concilio Vaticano II come la via maestra per l’«aggiornamento» pastorale
della Chiesa; e Paolo VI alla fine del concilio aveva richiamato l’icona del
Samaritano. Francesco cita entrambi i pontefici esplicitamente nella Bolla
(cfr. MV 4). Nuova è piuttosto la
spinta evangelizzatrice che Francesco intende dare alla Chiesa del rilanciando
«l’esigenza di parlare di Dio in un modo più comprensibile» (MV 4). Ciò che rende «più comprensibile»
il mistero di Dio è annunciare il suo modo di agire nei confronti dell’umanità
ferita, come emerge in un passaggio della Bolla in cui Francesco introduce la
metafora dell’architrave (MV 10).
Nel deserto culturale, esistenziale e relazionale che spesso
caratterizza gli spazi dell’umano comune oggi, la "medicina della
misericordia" è una via, una strada, una porta. Forse è proprio questo ciò
di cui c'è maggiore ‘domanda’ nel ‘mercato’ dei significati di cui è alla
continua ricerca l’uomo contemporaneo. Ma in che cosa consiste questa medicina, o farmaco? S. Ignazio di Antiochia chiamava l’eucaristia in questi
termini[6]. È qui che il sentiero si
fa più impervio e si innescano le possibili trappole che possono ridurre al malinteso, cioè a ridurre il discorso
sulla misericordia a ‘buonismo’ a basso costo[7], anziché «a caro prezzo»
(cfr. Bonhoeffer). Il testo della Bolla invita esattamente tutta la Chiesa a
stare su questo nesso che chiede conversione: «Dinanzi alla gravità del
peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre
più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che
perdona» (MV 3). È in questa
prospettiva che si colloca il rapporto misericordia-giustizia, svolto in MV 20-21. Il passaggio-chiave del testo
su questo punto è il seguente: «Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di
essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge.
(…) Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento
superiore dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia»
(MV 21).
In questo senso affermare che la misericordia è un tema «fondamentale
per il XXI secolo»[8]
pone in modo nuovo all’uomo contemporaneo la questione di Dio. A detta del
card. Kasper la misericordia è un tema che è stato sostanzialmente
«dimenticato», addirittura «imperdonabilmente trascurato»[9]. Possiamo dire che è vero
dal punto di vista dello svolgimento tematico del discorso teologico, perché la
dimensione della misericordia o dell’infinita benevolenza di Dio che fa sorgere
il suo sole e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (cfr. Mt 5,45) più che come parte della rivelazione evangelica viene
collocata in teologia – anche per ragioni storiche (la controversia tra
Agostino e Pelagio, le tesi di Lutero, i decreti del Concilio di Trento) dentro
il grande tema della giustificazione
dell’uomo peccatore[10]: Dio misericordioso
giustifica e santifica l’uomo. La misericordia è dunque espressione
dell’universale volontà di salvezza di Dio verso tutta l’umanità. Ciò non
significa tuttavia che la dimensione della misericordia sia totalmente assente. Anzi. La teologia contemporanea
nei suoi orientamenti più avanzati sta mettendo a tema la rivelazione
evangelica e i suoi «dispositivi di interdizione» (Sequeri) come le parabole
evangeliche, nei confronti di un discorso su Dio ancora troppo umano.
Gesù Cristo, «volto della misericordia del Padre»
La prima affermazione della Bolla esprime il tentativo di
tracciare l’essenza del cristianesimo: «Gesù Cristo è il volto della
misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in
questa parola la sua sintesi» (MV 1).
Misericordia è non uno dei possibili
attributi o titoli di Dio, ma il suo nome,
come riporta la narrazione dell’Esodo nel momento in cui Dio appare a Mosè:
«Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore
e di fedeltà» (Es 34,6), citato subito all’inizio della Bolla (cfr. MV 1). Oltre al nome – riconosciuto
anche dall’Islam, che invoca Dio come il misericordioso e il Clemente (cfr. MV 23) – la storia della salvezza
presenta la natura divina di Dio,
cioè il suo agire misericordioso, la
cui pienezza (cfr. Dei Verbum 2) è
Gesù Cristo, volto della misericordia: «O Dio, che riveli la tua onnipotenza
soprattutto con la misericordia e il perdono»[11].
Tra i tanti passi evangelici da cui emergono le viscere di
misericordia di Gesù, emerge per contrasto la pagina del fariseo Simone (Lc 7,36-50). Simone, che ospita Gesù nella sua casa, è
un uomo onesto e ligio, ma poco misericordioso. Il suo occhio è gentile, ma
feroce. Da scrupoloso osservante della Legge, nota e registra con disappunto le
procedure che infrange Gesù. Lo giudica. Da parte sua, Gesù lo invita ad
allargare il suo sguardo, anzi a purificarlo,
e a vedere quella donna che gli ha unto i piedi con olio profumato con uno
sguardo di benevolenza e non di giudizio. Lo invita ad amare, perché l’osservanza
della legge senza l’amore soffoca il cuore e non porta alla salvezza. Papa
Francesco ha stigmatizzato in più riprese questo vero e proprio vizio, parlando
del rischio della «mondanità spirituale» o dell’accidia egoista che può colpire
anche gli operatori pastorali (cfr. EG
79-109). L’agire misericordioso di Dio prova a conversione lo sguardo e chiede
di accostarsi con un credito di fiducia e di benevolenza all’altro, all’altra
che incontro, perché appena una persona si percepisce giudicata ancor prima di
aprir bocca, vuol dire che non abbiamo esercitato la virtù della misericordia
ma siamo caduti nel tranello di Simone il fariseo perfetto: tanto perfetto
quanto spietato.
La misericordia invece è «la parola-chiave per indicare
l’agire di Dio verso di noi» (MV 9). È
importante notare il verbo agire. Francesco
cita – come aveva già fatto in Evangelii
gaudium n. 37, la quaestio 30
della Summa Theologiae di Tommaso, in
cui la misericordia viene definita come «la più grande di tutte le virtù»[12]. Per Tommaso la
misericordia è il principale attributo operativo
(non entitativo) di Dio. È una
distinzione sottile, ma decisiva: è riferito a come agisce Dio (operativamente), più che a chi è Dio in sé
(entitativamente). «Dio è amore» (Deus caritas est: 1 Gv 4,8) e l’amore di
Dio si esprime in un agire misericordioso: «la misericordia di Dio non è
un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come
quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle
viscere per il proprio figlio» (MV
6). In questo ‘primato operativo’ della
misericordia risiede il fondamento biblico e teologico del fatto che la
misericordia viene indicata da Francesco come criterio di credibilità e di autenticità
della fede e dello stile dell’agire
ecclesiale, come emerge in vari passaggi del testo, come nei numeri 9, 10,
12, 25. Se la credibilità della Chiesa è vincolata all’annuncio della
misericordia, diventa inaggirabile la questione del rapporto tra misericordia e
verità. Come scrive Isacco il Siro, «la conversione è la porta della
misericordia che è aperta a chiunque la cerchi. Per mezzo di questa porta noi
entriamo nella misericordia divina. Al di fuori di questa entrata non è
possibile trovare misericordia[13]».
Pensare insieme
misericordia e verità: sfida per la teologia e per la Chiesa
«Misericordiosi come il Padre, dunque, è
il “motto” dell’Anno Santo» (MV 14). La
sfida della «rivoluzione della tenerezza» non è retorica: «La misericordia non
è solo un atteggiamento pastorale, ma è la sostanza stessa del Vangelo di Gesù.
Vi incoraggio a studiare come nelle varie discipline- la dogmatica, la morale,
la spiritualità, il diritto e così via – possa riflettersi la centralità della
misericordia»[14].
La portata di questa svolta è stata ben messa in luce, oltre che dal card.
Kasper, da un intervento di p. G. Brena[15]. Egli pone la questione
centrale: la misericordia è dottrina o è un aggiustamento, una sorta di
‘intiepidimento’ della «vera dottrina»? Brena cita la modifica del passaggio
nella relazione finale del card. P. Erdö in cui prima si afferma che «la
dottrina della fede (…) vada proposta insieme alla misericordia» e poi, nel
testo finale che «il messaggio cristiano ha sempre in sé la realtà e la
dinamica della misericordia e della verità, che in Cristo convergono». Brena fa
notare l’inversione dei termini, per cui la misericordia viene citata prima
della verità e si afferma che essere convergono in Cristo. Ma come «convergono» in Gesù misericordia e
verità? La missione pastorale della Chiesa se vuole essere evangelicamente
ispirata, deve mostrarsi ospitale
verso le persone in carne e ossa. La verità si dispiega nello stile di questa
accoglienza. Accogliere tutti senza condizioni previe e valorizzando anzitutto
il desiderio delle persone di avvicinarsi a Colui che viene riconosciuto come
Signore significa creare le condizioni perché ci sia uno spazio di vita. Papa
Francesco ripercorre le dimensioni tipiche del Giubileo (il pellegrinaggio: MV 14 e l’indulgenza: MV 22) con questa intenzione con due
sottolineature: l’invio dei Missionari
della Misericordia durante la Quaresima 2016 (MV 18) e la riscoperta delle opere
di misericordia corporali e spirituali (MV
15), oltre ad «incrementare» (MV 17) l’iniziativa “24 ore per il Signore”. «Lasciamoci
sorprendere da Dio» (MV 25). Con
questo suggestivo invito si chiude la Bolla, richiamando che «tanto è
imperscrutabile la profondità del mistero che racchiude [la misericordia],
tanto è inesauribile la ricchezza che da essa proviene» (MV 25).
[1] Lettera di Papa Francesco al Gran
Cancelliere della Pontificia Universidad
Católica Argentina nel centesimo anniversario della Facoltà di Teologia, 3
marzo 2015.
[2] 11 aprile 2015. D’ora in poi
semplicemente MV, seguito dal numero
di riferimento.
[3] W.
Kasper, Il volto taciuto di Dio.
La bolla Misericordiae vultus, «Il Regno – Attualità» 4/2015, 2018.
[4] Cfr. P. Sequeri, Nelle
periferie dell'umanità ...con lo spirito delle beatitudini, intervento
alla Settimana Teologica 2014 dell'Arcidiocesi di Messina Lipari S. Lucia del
Mela del 10 marzo 2014, disponibile on
line su YouTube.
[5]
W. Kasper, Misericordia.
Concetto fondamentale del vangelo. Chiave della vita cristiana, Queriniana,
Brescia 20132, 14-20.
[7] Come propone, ad esempio, il
giornalista Giuliano Ferrrara: «Bisogna diffidare da queste finte conversioni,
con il suo buonismo Bergoglio fa credere erroneamente a chiunque che c'è
possibilità di emendazione: anche l'ultimo dei peccatori ritiene che ci sarà la
salvezza dopo la morte, ma in realtà non è così» (13 giugno 2014).
[8] W.
Kasper, Misericordia. Concetto
fondamentale del vangelo…cit. 20.
[9] W.
Kasper, Misericordia. Concetto
fondamentale del vangelo…cit. 20.
[10] DS 340, 780, 4135, 4572.
[11] Colletta della XXVI domenica del
Tempo Ordinario, citata in MV 6.
[12] Summa Theologiae, II-II, q. 30, art. 4.
[13] Isacco
il Siro, Un’umile speranza.
Antologia, Qiqajon, Bose 1999, 188.
[14] Lettera di Papa Francesco al Gran
Cancelliere della Pontificia Universidad
Católica Argentina…, cit.
[15] G.
Brena, Misericordia e verità,
«La Civiltà Cattolica» 3958 del 30/05/2015, 329-432.
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