Cinquant'anni di Gaudium et spes

Un nuovo stile di Chiesa


A pochi giorni dall'anniversario dei cinquant'anni della conclusione del Vaticano II (1965-2015), che apre il Giubileo della misericordia, è importante fare memoria del nuovo stile di Chiesa voluto dai Padri conciliari. Uno sguardo ad uno dei testi più emblematici del concilio può aiutare. 
La costituzione pastorale Gaudium et spes non si presenta come un testo piatto e sempre uguale. I suoi 93 numeri contengono delle ‘cime’ e delle ‘valli’, cioè dei passaggi decisivi che inaugurano un nuovo stile di Chiesa, un nuovo modo di abitare il mondo da parte dei credenti, superando le contrapposizioni o antinomie moderne ereditate dalla storia recente (tra Chiesa e Stato, ma anche tra libertà e grazia). Secondo alcuni commentatori si tratta del documento il più rappresentativo del Concilio Vaticano II perché segna una sorta di «rivoluzione copernicana» (L. Sartori). In effetti un testo che tenta coraggiosamente il guado delle antiche contrapposizioni senza però approdare né ad una visione ingenuamente ottimistica né apocalitticamente pessimistico. I Padri propongono una visione messianica della realtà e della storia perché attinge al disegno di salvezza che ha in Cristo il suo centro, senza togliere l’effettiva consistenza dei drammi e delle speranze degli uomini e delle donne di oggi (cfr. GS 1).
Dei sedici documenti del Vaticano II (4 costituzioni, 9 decreti, 3 dichiarazioni) la GS è quella che ha conosciuto la storia redazionale più complicata con ben otto redazioni prima di quella finale. Il consistente numero di voti contrari (75 «Non placet» contro 2309 «Placet») e l’approvazione al fotofinish il 7 dicembre 1965, cioè il giorno prima della chiusura del Concilio rappresentano i chiari segni della sua travagliata genesi. Da parte dei Padri conciliari si avvertiva la necessità di prendere posizione su alcuni temi di attualità e però non era chiaro con quale chiave interpretativa unificante. Attorno a quale discorso organizzarli? La prima parte del documento (nn. 11-45) risponde così: riconoscendo l’universale chiamata alla santità. Serviva tutta la durata dei lavori conciliari per affinare lo sguardo e arrivare ad affermare solennemente che non c’è una Chiesa dei figli di Dio separata dall’umanità, ma la Chiesa fa sua l’esperienza umana in quanto tale nel suo essere segno di Cristo salvatore nel mondo (GS n. 2).
La Chiesa dunque non si pone più né ‘di fronte’ al mondo, in atteggiamento di opposizione, né ‘accanto’ al mondo in segno di una solidarietà solo umana, ma nel mondo, al fine di stabilire la «fraternità universale» che corrisponde alla vocazione dell’uomo e della Chiesa stessa (GS n. 3).  Come non sentire l’eco di questa fraternità nelle parole dell’Evangelii Gaudium quando Francesco richiama alla «fraternità mistica, contemplativa», che sa guardare alla «grandezza sacra del prossimo» e «scoprire Dio in ogni essere umano» (EG 92)?
I Padri conciliari offrirono ai loro contemporanei una visione messianica della storia in cui tutto converge al bene nella certezza che tutti gli uomini sono creati e amati da Dio Padre perché in Cristo sono amati e destinati a trasformarsi in quell’umanità compiuta e perfetta che è l’umanità del Figlio. I «problemi urgenti» segnalati nel testo (cfr. nn. 46-90) sono oggetto del continuo aggiornamento dell’agenda ecclesiale: la dignità della famiglia, la promozione della cultura, lo sviluppo economico, la politica, la promozione della pace. Sono i temi di sempre perché l’intenzione di Padri è fare dell’uomo la via della Chiesa, riconoscendo la mediazione antropologica e relazionale della fede. Non si tratta di applicare dei principi astratti alla realtà umana, ma di leggere con gli occhi della fede l’esperienza umana come tale. Questo non significa che il documento ha una minore ‘autorità dottrinale’ rispetto alle altre costituzioni esplicitamente dogmatiche, ma che tutta la realtà e la storia è interpretata alla luce del mistero di Cristo e delle nuove relazioni che nascono da questa sorgente.

L'arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla, al ritorno dal Vaticano II, disse: «È stata una rivoluzione». In effetti Gaudium et spes raccoglie i frutti di una lunga ‘fermentazione’ teologica, caratterizzata dal vivace confronto tra personalità di spicco tra le quali B. Chenu, Y. Congar, H. del Lubac, K. Rahner, J. Ratzinger e G. Dossetti, solo per citare alcuni nomi. Da questa feconda ‘fermentazione’ emerge un nuovo stile, in cui la Chiesa non si presenta più al mondo solo come ‘madre e maestra’, ma si fa anche compagna di strada dell’uomo contemporaneo (cfr. 44).

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