Il corpo che parla

Da lunedì 13 a lunedì 27 giugno ho prestato servizio come volontario presso la «Piccola casa della Divina Provvidenza» di Torino. Questa volta non nei padiglioni, ma nell’ospedale cottolenghino. Ci sono andato per accompagnare tre seminaristi nella loro esperienza di servizio, ma, visto che c'ero, ho scelto di fare servizio come loro. Ha fatto bene a me, più che fare io del bene per gli altri. Il mio compito era affiancare ed aiutare gli operatori sanitari e gli infermieri nelle operazioni ausiliare (curare l’igiene e mobilizzare gli ammalati, imboccare chi non ce la fa a mangiare da solo, rifare i letti, ecc…). Non essendo abituato alla fine sono arrivato cotto a puntino. 
È un’esperienza molto forte. Molto intensa. I primi giorni sono stati i più duri, ma dopo aver preso il ritmo si entra in un'altra dimensione, fatta di contatti umani molto forti e molto veri, di dialoghi sul filo della confessione, di solitudini esistenziali consolate con il balsamo delle parole e dei gesti semplici: permesso, scusa, grazie. All'inizio non capivo il codice («Ha chiamato il 2»; «Il 7 è in bagno»; «Il 6 è disfalgico, non dategli acqua!»). I primi giorni mi infastidiva perché nel mio idealismo ritenevo che si dovesse sempre parlare della persona, di avere delle attenzioni personalizzate ecc. Poi, prendendo confidenza con l’ambiente, con il servizio e il personale, ho capito che è inevitabile adottare questo ‘codice’ e che il suo uso non è immediatamente sinonimo di spersonalizzazione, ma di una cura personalizzata.
Certamente il contatto diretto, visivo (e olfattivo…!) con le persone e soprattutto i corpi malati, sia di uomini che di donne, ha "suonato la sveglia" e mi ha aperto ulteriormente gli occhi sull’effettiva povertà e precarietà dell’esistenza umana. Dalle Sue piaghe siamo stati guariti. Sì, perché le nostre, di piaghe, non salvano. Al contrario, di solito puzzano e basta. Invocano una salvezza che assuma quella fragile carne ormai pronta per il suo ultimo viaggio. 
Nel mio ministero in questi anni di fatto non ho avuto un contatto assiduo con questa realtà. Le famose ‘periferie esistenziali’ di fatto io non le frequento perché vivo in un mondo fatto di riunioni (tante), libri, mail, contatti, messaggi… Di fatto, però, i poveri, i malati, i profughi non li incontro come faceva Gesù...questi giorni sono stati un piccolo assaggio della continua immersione nell'umanità ferita in cui vivono i fratelli e le sorelle che vivono il carisma cottolenghino.
Insomma, la chiamerei un'esperienza di conversione dello sguardo.
Deo gratias!


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