Senza paura
“Appena la
strada si libera andiamo, non vogliamo cedere, non abbiamo paura della morte”.
Non sono parole di invasati o di terroristi. Solo le parole dei giovani siriani
di rientro alla devastata città di Aleppo dopo aver partecipato alla GMG a
Cracovia con papa Francesco e migliaia di giovani. Una di loro, Rand Mittri, sabato
30 luglio ha portato la sua testimonianza pubblica, dicendo, tra l’altro:
Ogni giorno, viviamo una vita che è circondata dalla morte. Come
voi, noi chiudiamo la porta di casa alle nostre spalle, la mattina, quando
andiamo al lavoro o a scuola. Ed è proprio in quel momento che la paura ci
attanaglia: la paura di non tornare, di non ritrovare la nostra casa o la
nostra famiglia come li abbiamo lasciati. Forse, in quel giorno saremo uccisi o
forse la nostra famiglia sarà uccisa. E’ una sensazione grave e dolorosa
quella di sapere che siamo circondati da morte e uccisioni e non c’è modo di
sfuggire, non c’è nessuno che ci aiuti.
Dio,
dove sei? Perché ci hai dimenticati? Esisti davvero? Perché non hai pietà di
noi? Non sei forse Tu il Dio dell’amore?
Ogni
giorno ci poniamo queste domande. Io non ho una risposta. E’ possibile che
questa sia la fine e che noi siamo nati per morire nel dolore? O siamo nati per
vivere e per vivere la vita nella sua pienezza? La mia esperienza in questa
guerra è stata dura e difficile e mi ha costretta a maturare e diventare grande
prima del tempo e a vedere le cose in una prospettiva diversa.
Questa forte esperienza nella
mia vita mi ha insegnato che la mia fede in Cristo è al di sopra delle
circostanze della vita. Io credo che Dio esista nonostante tutto il nostro
dolore; credo che a volte, attraverso il nostro dolore, Egli ci insegni il
significato vero dell’amore. La mia fede in Cristo è la ragione di vita per me,
per la mia gioia e la mia speranza. Nessuno mai potrà rubarmi questa gioia
genuina.
Bisognerebbe partire
da questa pagina di limpida freschezza evangelica per cogliere la prospettiva aperta da Gesù nella sua disputa con i sadducei (cfr. Lc 20,27-38). Gesù, che è appena entrato a Gerusalemme, subito si scontra con le autorità religiose di
Israele, da cui emerge l’enorme distanza di prospettive. I sadducei erano
conservatori e riconoscevano solo la prima parte dell’Antico Testamento (la
Torah, cioè il Pentateuco) e ritenevano che non esistesse la possibilità della risurrezione. Per screditare questa convinzione costruiscono un caso impossibile per dimostrarne l’insensatezza teologica.
In sostanza, i sadducei credevano in Dio, ma non nella risurrezione
dai morti. Per noi sembra una cosa bizzarra, perché tendenzialmente pensiamo
che se uno crede in Dio dovrebbe credere anche nella vita eterna, ma non è così.
La
risurrezione è il centro della fede cristiana, ma anche di chi si apre ad una
comprensione non pregiudicata, non cieca, della Scrittura. Ecco perché Gesù dice
che Dio è il Dio di Abramo, di Isacco e
di Giacobbe, cioè dei patriarchi, che per i sadducei erano esistiti, ma ora
erano morti e che invece Gesù nomina come testimoni del Dio vivente. Una grande
finezza ermeneutica da parte di Gesù, ma anche un abile colpo ad effetto che
provoca la dura reazione dei Sadducei. Ma anche l’esperienza credente: si può credere in Dio (come i pii
Sadducei), ma non nella risurrezione. Appunto. Ma allora sarà il Dio solo dei vivi, non dei viventi…
Non si tratta di aderire
a tavolino – quindi astrattamente – in un’idea teologica (la risurrezione), ma di
credere nella persona di Gesù che è la
risurrezione (Io sono la risurrezione e
la vita (Gv 11,25). È questa la differenza radicale tra credere nel Dio dei
viventi e non nel Dio buono solo per i vivi.
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