Angeli e droni
L’inizio
del Vangelo di Giovanni, il cosiddetto “Prologo”, è un testo densissimo e
ricchissimo che rischia però di può sfuggire alla nostra attenzione perché ci parla di Dio
in modo così 'alto' che noi rischiamo di sentirlo addirittura paradossalmente
distante. Noi che siamo terra-terra e che ci stiamo abituando a pensare ad un cielo abitato più dai droni che dagli angeli, rischiamo di cogliere queste parole come un
annuncio che viene dallo spazio. Ma il Vangelo di Giovanni non è la sonda
Schiapparelli che si è schiantata su Marte e il modo con cui ci parla del
Figlio ci interpella.
La
prima cosa infatti che viene detta a proposito del Figlio che in Lui era la vita. Possiamo pure
declinarlo al presente: in Lui c’è vita. Quella stessa vita che noi cerchiamo
in tanti modi, talvolta sbagliati, e che nel Natale ci viene donata
gratuitamente. Natale è la festa della luce, della vita e dell’accoglienza
della vita. Come
ogni vita che nasce chiede di riorganizzare le energie, le priorità e le
giornate, così anche la nascita di Gesù dovrebbe comportare per ciascuno di noi
una nuova scaletta di priorità, dando più spazio e tempo per accogliere il dono
che è la presenza del Signore nella nostra vita, nelle nostre giornate, nei
nostri fine settimana. Quando nasce un bambino, tutte le attenzioni sono per
lui. Quello che può valere in generale per i bambini, non vale per Gesù, però.
Infatti, la seconda cosa che viene detta a proposito
del Figlio è che la sua venuta provoca una reazione diversa: eppure il mondo
non lo ha riconosciuto. Già, il mondo. D’altra parte vediamo anche noi come va
il mondo: guerre e distruzioni, morte e violenza anche nelle nostre città.
Berlino come Parigi, la foto perfetta dell’assassino dell’ambasciatore russo
con la pistola in mano nel bel mezzo di un museo di Ankara. Come le foto della
distruzione di Aleppo che piovono sui giornali e sui video. Il rischio
dell’assuefazione a questo scenario è un rischio vero e forte. Il mondo.
E uno direbbe: «Pazienza, il mondo va così. Si sa. Ma
noi vogliamo bene a Gesù». Quasi a dire: ma noi siamo diversi, siamo i buoni. I
cattivi sono sempre gli altri. Ma il testo ci inchioda dicendo che Gesù non è
stato rifiutato solo dal mondo, ma anche dai suoi: venne tra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. Chi sono «i suoi»?
«Suoi» indica una cerchia di persone intime a Gesù. Noi ci riteniamo suoi o siamo turisti per caso finiti in
chiesa questa mattina? È questa la provocazione che ci viene dal Vangelo. Il
Natale è la sorpresa di un Dio che non si stanca di scendere in mezzo a noi,
che non prende paura delle difficoltà che incontrerà nella sua venuta in mezzo
a noi. Sa benissimo che siamo capaci di rifiutarlo, ma Lui è fatto così: non
rinuncia mai in partenza ad amare.
Viene annunciato dagli angeli, ritornerà in cielo
con i segni dei chiudi. La nostra umanità non è così bella come appare dalle
stelle, ma siamo capaci di operare il bene se lo vogliamo. A quanti però lo hanno accolto, ha dato loro il potere di diventare
figli di Dio. Non si tratta di un potere magico, ma del potere dell’amore e
della carità fraterna.
Diventiamo figli
di Dio quando sappiamo accogliere il fratello e la sorella con i loro
limiti.
Diventiamo figli
di Dio quanto ci fermiamo ad ascoltare lo sfogo di un amico o di un collega.
Diventiamo figli
di Dio quando accettiamo di ricevere il perdono e di perdonare.
Diventiamo figli
di Dio quando ci impegniamo nel servizio senza pretese di riconoscimento.
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