Vedere con il cuore
Ancora acqua.
Questa volta non quella di un pozzo, ma quella di una piscina (cfr. Gv 9,1-41).
Nel cuore del cammino quaresimale, a venti giorni dalla Pasqua, il racconto del cieco nato diventa la storia simbolica di un possibile itinerario di fede.
Possibile perché si può sempre rimanere inchiodati alle proprie posizioni (Noi siamo discepoli di Mosè!), senza aprirsi alla Luce.
Possibile perché gli occhi possono guarire subito e d'incanto, mentre il cuore ha bisogno di tempo. Il racconto lo esprime chiaramente.
Giovanni narra di un itinerario in cui è Gesù a prendere l'iniziativa con un gesto non di semplice guarigione, ma di nuova creazione. L'evangelista si fa generosamente carico di restituire al lettore tutto il realismo di quel gesto (sputò per terra, fece del fango con la saliva...) alla faccia dell'ossessione fobica per i germi indotta nei propri customers dalle multinazionali dell'igiene.
Ma in questa nuova creazione non è ammessa la pura passività: Va' a lavarti nella piscina di Siloe (Gv 9,7). E così quell'uomo, già cieco di suo e con in più il fango sugli occhi, attraversa gli stretti vicoli di Gerusalemme, scende le scale e arriva alla piscina di Siloe, chiaro segno battesimale. La nuova creazione comporta l'attivazione della libertà e il suo esercizio è già segno di vita nuova.
Ma questa rocambolesca discesa e prodigiosa è solo l'inizio di una serrata lotta dialettica con i vari interlocutori (dai farisei ai genitori) per arrivare al riconoscimento, in cui l'ormai ex cieco da semplice ignaro beneficiario di un dono, cresce e matura progressivamente, fino ad approdare ad una vera e propria confessione di fede: Credo, Signore! (Gv 9,38).
Abbiamo bisogno di acqua e fango, ma soprattutto di un cuore nuovo per vedere la Luce.
Questa volta non quella di un pozzo, ma quella di una piscina (cfr. Gv 9,1-41).
Nel cuore del cammino quaresimale, a venti giorni dalla Pasqua, il racconto del cieco nato diventa la storia simbolica di un possibile itinerario di fede.
Possibile perché si può sempre rimanere inchiodati alle proprie posizioni (Noi siamo discepoli di Mosè!), senza aprirsi alla Luce.
Possibile perché gli occhi possono guarire subito e d'incanto, mentre il cuore ha bisogno di tempo. Il racconto lo esprime chiaramente.
Giovanni narra di un itinerario in cui è Gesù a prendere l'iniziativa con un gesto non di semplice guarigione, ma di nuova creazione. L'evangelista si fa generosamente carico di restituire al lettore tutto il realismo di quel gesto (sputò per terra, fece del fango con la saliva...) alla faccia dell'ossessione fobica per i germi indotta nei propri customers dalle multinazionali dell'igiene.
Ma in questa nuova creazione non è ammessa la pura passività: Va' a lavarti nella piscina di Siloe (Gv 9,7). E così quell'uomo, già cieco di suo e con in più il fango sugli occhi, attraversa gli stretti vicoli di Gerusalemme, scende le scale e arriva alla piscina di Siloe, chiaro segno battesimale. La nuova creazione comporta l'attivazione della libertà e il suo esercizio è già segno di vita nuova.
Ma questa rocambolesca discesa e prodigiosa è solo l'inizio di una serrata lotta dialettica con i vari interlocutori (dai farisei ai genitori) per arrivare al riconoscimento, in cui l'ormai ex cieco da semplice ignaro beneficiario di un dono, cresce e matura progressivamente, fino ad approdare ad una vera e propria confessione di fede: Credo, Signore! (Gv 9,38).
Abbiamo bisogno di acqua e fango, ma soprattutto di un cuore nuovo per vedere la Luce.
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