Un solo corpo
Il
mistero dell’Ascensione non è una triste festa di addio, ma il compimento di
un’alleanza. Un’alleanza
che soffre e geme le doglie del parto e che patisce sofferenza in questo mondo.
La
seconda preghiera di Colletta ci ha ricordato che Siamo un corpo solo: nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra
umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella
speranza di raggiungere Cristo nostro capo.
Mentre tutto il coro mediatico insiste sull'originalità e sull'unicità personale, dalle canzoni alle auto, non dobbiamo dimenticarci che siamo un solo corpo. Unici, sì, ma collegati tra loro.
L’invito
ad andare (Andate e fate discepoli) da
parte di Gesù non è una delega, non è uno scaricare la responsabilità, ma la
condivisione di un mandato che Gesù riceve dal Padre. Che non arretra di fronte alla fragilità (alcuni dubitarono...). L'annuncio del Vangelo non chiede reparti d'assalto o "corpi speciali", ma l'essere un corpo solo.
La
benedizione (poi li condusse fuori verso
Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva si staccò da loro
e fu portato verso il cielo: Lc 24,50) inaugura il tempo dell’attesa del
suo ritorno.
Siamo
un solo corpo, siamo il suo corpo. La nostra umanità, cioè la nostra vita, la
vita della comunità cristiana, delle famiglie, diventa il luogo dell’attesa del
ritorno di Gesù, nell'impegno di costruire un’umanità a sua immagine e
somiglianza, senza le ferite dell’odio.
Gesù,
sale, ma in un certo senso rimane: Io
sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.
Non è l’esercito della
salvezza, ma un piccolo gruppo di uomini chiamati ad annunciare il Vangelo
partendo anzitutto dalla conversione del loro cuore e della loro stessa vita.
E
ce n’è anche per noi.
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