Fuoco e acqua
Molti abbiamo ancora in mente le immagini di quel devastante incendio che ha colpito il Portogallo qualche settimana fa, provocando più di 60 vittime. Poi si sono aggiunte altre impressionanti fiamme, provenienti dalla torre di Londra. Anche quelle fiamme hanno falciato numerose vite. Il fuoco fa paura, è minaccioso per l'uomo.
Appunto la paura. È una reazione istintiva di fronte a ciò che noi percepiamo come "minaccia". Paradossalmente anche certe affermazioni di Gesù nel Vangelo potrebbero essere percepite così, se rimaniamo alla superficie delle cose.
I versetti che precedono il testo del Vangelo di questa domenica (Mt 10, 37-42) suonano così:
Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada.
L’evangelista Luca, nello stesso contesto, traduce l'intento di Gesù con un'immagine ancora più forte:
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!
Può intimorire questa sorta di raccolta, quasi un’antologia, di parole di Gesù rivolte ai discepoli. Sono parole che Gesù probabilmente ha pronunciato in momenti e contesti diversi e che poi sono state raccolte da Matteo. Sono formule di tipo sapienziale che svelano il segreto per vivere bene, pur nella loro durezza. Il segreto per vivere bene non è la ricetta della felicità, ma è uno sguardo più profondo sulla nostra vita ed in particolare sulle nostre relazioni. Certo sono formulate in un linguaggio che suona duro e che non si può stemperare del tutto, ma fa parte dell’impatto del Vangelo con la nostra vita. Infatti, mentre noi tendenzialmente siamo accomodanti, soprattutto nelle relazioni, Gesù è sempre diritto:
Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me;
Gesù non vuole fare una sorta di classifica degli affetti, ma tocca le radici (il rapporto con i genitori) e i frutti della vita (il rapporto con un figlio), perché nel discepolo gli affetti devono avere un ordine, una priorità. “Non essere degno” non è un giudizio sulla persona, ma una constatazione: vuol dire non essere adatto. Non è questione di meriti, ma di attitudine. L’adesione a Lui deve venire prima di ogni altro amore. Chi vuol tenere per sé a sua vita, la perde. La vita è fatta per il dono, per cui più la trattieni, più ti sfugge. Invece, più la doni, più ricevi vita.
Il segreto è fidarsi di questa parola rispetto alle nostre paure. Personalmente sono molto legato questo versetto, perché è stato importante fin da quando ero piccolo e l’avevo letto nel Vangelo di mia sorella più grande. La trovavo davvero misteriosa come espressione. Mi chiedevo: ma come si fa a trovare la vita se la perdi? Se la perdi, è persa per sempre, non ne hai altre di vite. Non siamo come i gatti. E avevo paura che il Signore mi chiedesse troppo.
La fede è questo: credere di più a questa parola che alle nostre paure. Mi ricordo una volta di una giovane ragazza a cui ho chiesto aiuto per darmi una mano a fare le pulizie di un centro parrocchiale e che mi ha spiazzato rispondendomi così: ma se io ti aiuto, dopo come potrò essere sicuro che tu mi aiuterai? Ecco la paura di dare, di amare gratuitamente. Gesù non vuole discepoli che hanno paura di amare e di donarsi. A chi ha a paura di questo dono, Gesù consiglia di cambiare mestiere.
Ecco la radicalità del Vangelo.
Gli altri detti sono concentrati sull’accoglienza. Nell’esempio dell’acqua fresca, l’aggettivo – fresca – è più importante del sostantivo. Cioè è il segno della cura, dell’attenzione all’altri nei piccoli dettagli. Non è il dare per dare o il fare per fare, ma è fare le cose con cura, con premura. È questa cura per la qualità che dovrebbe fare la differenza tra i discepoli. Sia nel porgere della semplice acqua, sia nel vivere le relazioni più strette.
Chiediamo al Signore la grazia di lasciarci provocare a conversione da questa pagina del Vangelo scomoda, ma tonificante e dissetante.
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