Il grido della preghiera

Nel racconto di Matteo in cui Gesù avanza sulle acque (cfr. Mt 14,22-33) ci sono due grida: quella dei discepoli che gridano "per la paura" e quello altrettanto spaventato di Pietro: "Signore, salvami!". 
Quando l'uomo è in preda alla paura e al terrore, si comporta nel modo più istintivo: grida. Gridare è un modo chiassoso per manifestare che si è rotto qualcosa dentro, un equilibrio, una sicurezza. Quella sicurezza che ci tiene in piedi. Quella sicurezza che il venire di Dio spezza come un fragile vaso, perché non confidiamo altro che in Lui...

Mentre sul monte Oreb, Dio si manifesta a Elia non in maniera clamorosa, ma nel silenzio e nella discrezione, sul "mare" di Galilea Gesù si manifesta in un contesto di forte tensione.
Come ha osservato qualcuno, "potremmo interpretare sinteticamente i brani proposti oggi dalla liturgia, per l’esperienza di fede dei discepoli, in questo modo: la protezione di Dio non elimina le tempeste, ma è nelle tempeste che la si sperimenta! La sperimenta chi corre il rischio dell’obbedienza e rinuncia alle proprie sicurezze. Probabilmente, l’evangelista Matteo vuole sottolineare una caratteristica fondamentale dell’esistenza cristiana: la fede dei discepoli è sempre ‘poca fede’, cioè una miscela di coraggio e paura, di ascolto del Signore e angoscia per il vento contrario, di fiducia e di dubbio".
Gesù si manifesta come un "fantasma", di notte, sul lago, in mezzo alla tempesta. L'acqua e la notte sono carichi di significato simbolico: il mare è un simbolo delle paure per Israele, che non è affatto un popolo di navigatori.
Gesù cammina sulle acque delle nostre paure, che sono le paure di Pietro…

"Ma c'è da vincere la paura che agita, paralizza, chiude, affonda. E allora non si parla più semplicemente, come se si trattasse di una provocazione, di una sfida, di una competizione; si comincia a gridare: è il tono della preghiera quando è sincera. Non c'è più ombra di sfida, di pretesa, di vanità. È il momento della verità ed invece di affondare, sentiamo una mano tesa che ci sottrae ai gorghi" (p. Elia Citterio).



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