Ascende superius
C'è poco da fare. Considerato dal punto di vista umano, il mistero dell'Ascensione potrebbe richiamare molto la logica della "promozione": non a caso la pagina evangelica dell'amico che prende l'ultimo posto e poi ha l'onore di essere chiamato più avanti (Ascende superius) è diventata nel tempo l'icona di una modalità mondana di guardare alla realtà e alle relazioni sociali. Non ultimo anche in ambito ecclesiale (ed ecclesiastico in particolare). Per cui l'idea che abbiamo in testa è che l'ascendere richiami in ogni caso una forma di privilegio.
Se stiamo però ai vangeli, che sono i racconti di un Dio che non viene a farsi servire, ma a servire e a dare la sua vita per noi, è tutt'altra storia.
Il suo ascendere è il reciproco del suo discendere. E nell'ascendere Gesù non è più solo, ma porta con sé una moltitudine di fratelli, che non lascia più. La Pasqua non è stata una passeggiata sulla Terra. Nemmeno per Dio.
Nel racconto di Marco (cfr. Mc 16,15-20), l'ascendere di Gesù è accompagnato da un cambio di passo nella comunità dei discepoli: Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Dunque Gesù non inganna i suoi, non segue la logica funesta e sempre verde dell'Armiamoci e partite!, ma agisce in sinergia, confermando l'annuncio discreto della Parola con i segni reali della sua presenza e della sua azione.
Ed eccoci in partenza, allora: non per "predicare" al mondo, non per "conquistare" il mondo, ma per annunciare la speranza che non delude. Quella di un Dio che è fedele per sempre e che è solidale con la nostra povera umanità, facendoci il dono più grande: la sua vita e la sua energia in noi.

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