Il Dio che fa parlare i muti
Se penso che avrei potuto chiamarmi Paolo, come mio nonno, faccio fatica a riconoscermi. Non lo sento mio, quel nome. Certo, è bello e mi ricorda una persona cara, anche se il suo ricordo per me è molto sfocato e si perde nella notte dei tempi, essendo mancato quanto ero molto piccolo. Poi invece, essendo previsto il termine della gravidanza di mia mamma dopo Natale, è arrivato il mio nome, in omaggio a Santo Stefano. E con il tempo l'ho fatto mio. Parla della mia storia.
Assegnare il nome di un caro defunto al nascituro è una consuetudine che appartiene al recente passato e fino a poco tempo fa non faceva più di tanto problema che fosse così.
Oggi, invece, la scelta del nome da parte dei genitori è vista come una sorta di prerogativa inviolabile. Un appello alla loro fantasia e creatività, più che alla loro fede...
Il racconto della nascita di Giovanni Battista, però, mostra come l'assegnazione del nome diventa una epifania della vocazione di quel bambino il cui nome significa "Dono di Dio".
Giovanni è dono di per se stesso, con la sua sola nascita. E' motivo di stupore e di gioia per i suoi genitori anziani, ma poi lo diventerà per tutto Israele e per tutta l'umanità.
Non tanto perché fa parlare di sè ancor prima di nascere, quanto invece perché la vicenda della sua gravidanza e nascita diventa motivo di meraviglia e di stupore per molti: che sarà mai di questo bambino? Dovremmo avere lo stesso stupore verso ogni vita umana che nasce. In terra, come in mare.
Non solo: diventa motivo per sciogliere il nodo della lingua di Zaccaria, simbolo di molti altri nodi che possiamo riscontrare anche in noi, quando la nostra esperienza della fede resta "muta" ed incomunicabile. La scelta di Zaccaria di aderire a quel disegno folle di Dio scioglie il nodo del suo cuore, prima di quello della sua lingua. E il "mutismo della fede" si trasforma in canto di lode.
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