Aggiungi un posto a tavola
La sapienza ha imbandito la sua tavola (Pro 9,2).
Cosa aspettare ancora? Più che altro: chi aspettare?
Quando si prepara una tavola, di solito i posti sono già calcolati ed è solo questione di attendere l'arrivo di coloro che vi partecipano. Si chiamano "commensali", quasi fosse la stessa mensa a dare un volto e un nome a coloro che si riuniscono attorno ad essa.
Il testo del libro dei Proverbi sfuma però su questi dettagli regalando solo un'immagine suggestiva: la sapienza non è frutto di conquiste solitarie e di percorsi per pochi arditi più dotati di altri. La tavola della sapienza si presenta piuttosto con il vestito dell'abbondanza: la sua porta è sempre aperta e l'accesso è disponibile a tutti. Eppure questa singolare mensa non è molto frequentata. Anche ai nostri tempi.
Cosa aspettare ancora? Più che altro: chi aspettare?
Quando si prepara una tavola, di solito i posti sono già calcolati ed è solo questione di attendere l'arrivo di coloro che vi partecipano. Si chiamano "commensali", quasi fosse la stessa mensa a dare un volto e un nome a coloro che si riuniscono attorno ad essa.
Il testo del libro dei Proverbi sfuma però su questi dettagli regalando solo un'immagine suggestiva: la sapienza non è frutto di conquiste solitarie e di percorsi per pochi arditi più dotati di altri. La tavola della sapienza si presenta piuttosto con il vestito dell'abbondanza: la sua porta è sempre aperta e l'accesso è disponibile a tutti. Eppure questa singolare mensa non è molto frequentata. Anche ai nostri tempi.
I "Giudei" a cui fa riferimento il quarto evangelista addirittura si rifiutano di entrare e si fermano sulla soglia. La loro resistenza sta tutta in un argomento apparentemente inattaccabile: Come può costui darci da mangiare la sua carne? (Gv 6,52).
Già. Se le parole hanno un senso, l'obiezione è pertinente. Non c'è niente di nuovo. Non saranno forse accusati di mangiare carne umana ("antropofagia") i primi cristiani...?
Ma quel pane disceso dal cielo che è la carne del figlio dell'uomo appartiene ad una mensa particolare: la mensa della carità. Il segno distintivo di questa tavola non sono le stelline di una guida, ma una promessa: chi mangia me vivrà per me (Gv 6,57). Quel "per" è il sigillo di garanzia che l'indirizzo è giusto e non ci saranno amare sorprese. Il Padre non inganna i suoi figli. Ma nemmeno li vizia: il "per" è pasquale. Vivere per qualcuno è l'unico modo per dare senso ad un'esistenza. Chi mangia solo per nutrirsi non vive, sopravvive.
Solo chi vive per qualcuno, riconosce che il sapore della "carne" e del "sangue" è quello della propria umanità che si fa dono per gli altri. E impara a condividere senza paura la sua mensa. In fondo è questo quel "sapore vero" (e sano) a cui anela il cuore oltre che il palato.
Già. Se le parole hanno un senso, l'obiezione è pertinente. Non c'è niente di nuovo. Non saranno forse accusati di mangiare carne umana ("antropofagia") i primi cristiani...?
Ma quel pane disceso dal cielo che è la carne del figlio dell'uomo appartiene ad una mensa particolare: la mensa della carità. Il segno distintivo di questa tavola non sono le stelline di una guida, ma una promessa: chi mangia me vivrà per me (Gv 6,57). Quel "per" è il sigillo di garanzia che l'indirizzo è giusto e non ci saranno amare sorprese. Il Padre non inganna i suoi figli. Ma nemmeno li vizia: il "per" è pasquale. Vivere per qualcuno è l'unico modo per dare senso ad un'esistenza. Chi mangia solo per nutrirsi non vive, sopravvive.
Solo chi vive per qualcuno, riconosce che il sapore della "carne" e del "sangue" è quello della propria umanità che si fa dono per gli altri. E impara a condividere senza paura la sua mensa. In fondo è questo quel "sapore vero" (e sano) a cui anela il cuore oltre che il palato.

Commenti
Posta un commento