Il galleggiante

Di solito le cose più importanti, per capirle, hanno bisogno di essere ripetute. Non fanno eccezione le parole di Gesù, che per ben tre volte annuncia la sua Pasqua (cf. Mc 9,30-37). Eppure non viene capito. Normale amministrazione. Capita spesso agli insegnanti. Ma non era questione di QI. Il problema era un altro. Nessuno dei discepoli aveva la benché minima intenzione di finire in croce. E si capisce. In fondo lui li aveva "stregati" all'inizio, promettendo loro di diventare "pescatori di uomini". Quella volta, complice la suggestiva location (la spiaggia del lago di Tiberiade), Gesù aveva tirato diritto, senza tante mediazioni. Erano suonati imperativi radicali: "Venite", "Seguimi". Nel contratto c'erano delle rinunce e pochi benefit, vero, ma non si parlava certo di azioni kamikaze a Gerusalemme. Quello no. E adesso invece questa storia. Ecco perché essi però non capivano.
A ben vedere, però, c'è qualcosa di strano. Marco utilizza il verbo "insegnare" (Gesù insegnava...), quasi a voler segnalare al lettore che quello di Gesù più che il drammatico annuncio della sua fine, è anzitutto un "insegnamento". E che insegnamento si può ricavare da un disastro annunciato? Forse quello relativo ad un Dio che si lascia trovare nei momenti più difficili. Nell'oscurità della prova e del fallimento più che tra le nubi dell'incenso.
Ma i discepoli preferiscono non approfondire. Non ne avevano voglia? Marco lascia intendere che avessero timore (avevano timore di interrogarlo). Ad ogni modo, l'effetto finale è lo stesso: di fatto, si comportano come il galleggiante: tornano alla superficie. E alla superficie le acque, si sa, sono sempre agitate dai soliti venti che spesso agitano le relazioni: ambizione, invidia, rivalità (cf. Gc 3,16-4,1-3):  Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 
Gesù non si scompone e coglie la palla al balzo. Solo che al posto di "grande", parla del "primo". Il primo posto è quello di chi si fa ultimo, "servitore" di tutti. Per libera scelta. Diciamo "per amore", anche a costo di apparire forse un po' troppo sdolcinati.
Ed ecco il colpo di scena: per servire ed essere primi non serve fare chissà che cosa, predisporre chissà cosa. Non servono le magliette con la scritta a caratteri cubitali STAFF e i bagde. Tutto è utile,  chiaro, ma prima di "servire", occorre saper guardare negli occhi, conoscere la storia delle persone... è questa la differenza tra i discepoli e una qualsiasi "società di servizi". 
Tutto qui? Tutto qui. Ma l'insistente ricorrenza del verbo (ben quattro volte in un versetto) lascia intendere che forse non è così scontato. Specie di questi tempi.


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