Il Piave mormorò

Ci sono date che non si possono ignorare. Oggi è una di quelle. 
Dopo cento anni (1918-2018) è ancora il Piave il protagonista. Il vero ed unico sovrano della pianura veneta. La natura torna a far paura. Questa volta non sono state spazzate via le passerelle degli Austriaci, ma auto, vigneti e case. Quella che in tempo di guerra fu salutata come una piena provvidenziale, in tempo di pace diventa un disastro. Le valutazioni cambiano a seconda dei contesti.


Ma più della piena del Piave, cento anni dopo fanno paura le idee degli uomini, soprattutto quando tornano ad accarezzare e a rispolverare gli ideali di un tempo, riverniciandoli con parole nuove. 
Che cosa imparano gli uomini dalla storia? Verrebbe da dire molto poco.
La retorica patriottica di un secolo fa era tutta condensata nel Bollettino che annunciava l'armistizio: «La guerra contro l’Austria-Ungheria che l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. […] I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza».
La retorica di oggi non contempla più certi termini démodé ("fede incrollabile", "tenace valore"), ma si nutre di un fantomatico appello ad un "popolo" stanco, smarrito e confuso. Quasi come i soldati italiani sulle rive del Piave. 
L'Europa, oggi come allora, è tutta da costruire. 









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