Nel suo nome
Il libro della Genesi racconta di un duro combattimento con uno "sconosciuto" che impegnò Giacobbe tutta la notte "fino allo spuntar dell'alba" (Gn 32,25). L'immagine del "corpo a corpo" calza bene con l'esperienza di Tommaso (cf. Gv 20,24-29), il quale non si accontenta del sentito dire e vuole toccare con le sue mani il corpo di Gesù. Ma la presenza e la parola del Vivente vanno oltre ogni prova di laboratorio: in quel "Mio Signore e mio Dio" (Gv 20,28) ci sono tutto l'affetto e la fede di Tommaso. Giustamente qualcuno ha osservato che la fede in radice è essere affezionati al Signore. L'affectus fidei dei discepoli (e delle discepole) è dono dello Spirito per la missione: "Come il Padre ha mandato me, così anch'io mando voi".
Gesù non aspetta che i suoi finiscano la laurea, siano pronti e convinti (quando lo saranno?!) per inviarli. Sarà la stessa missione a renderli "Chiesa del Risorto" e a donare loro il gusto di vivere "nel suo nome".
Credere o non credere non è un dubbio amletico in cui arrovellarsi, ma l'evento di un incontro che ti cambia "dentro". E che ti fa provare quella gioia che nessuna vittoria, nessun traguardo o conquista ti sa regalare perché è semplicemente gratuita: "E i discepoli gioirono al vedere il Signore" (Gv 20,20).
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