A proposito di "popolo"

Nella quarta domenica di Pasqua, detta "domenica del buon pastore", Gesù si presenta come colui che conosce una per una le sue pecore. Esse gli appartengono, ma in un certo senso anche lui sceglie di appartenere a loro offrendo la sua vita. Uno strano pastore, diverso da tutti gli altri: per condurre il suo gregge sceglie di offrire la sua vita. Non usa e non si serve della sue pecore, ma le serve!
L'immagine ritorna anche negli altri testi biblici previsti dalla liturgia, compreso il salmo "responsoriale", che prevede un ritornello molto evocativo: Noi siamo il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce.
In tempi nei quali ci si appella spesso al "popolo" come istanza ultima e sovrana, forse non è inutile ricordare, sempre con le parole dell'evangelista Giovanni, che si tratta di un "popolo" alquanto singolare, formato da una moltitudine immensa di ogni nazione, tribù, popolo e lingua.
Non si tratta di una folla anonima, senza volto e senza nome perché ciascuno è chiamato e chiamata per nome dalla voce inconfondibile dell'Agnello. E dalle sue mani nessuno potrà mai strapparci. 
Nemmeno i lupi travestiti da pastori.


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