Sì, ma...

Ti seguirò, ma prima...
Si può dire di credere in Dio e continuare a restare sdraiati sul divano? Di solito c'è sempre una scusa buona che prima o poi salta fuori e che rallenta l'andare dietro a Gesù.
Se essere credenti significa farsi suoi discepoli, occorre considerare anzitutto la determinazione e la fermezza ("prese la ferma decisione" è  un'elegante parafrasi della più cruda espressione "indurì il suo volto") con cui il Maestro si mette in cammino verso Gerusalemme. 
Egli non aspetta che accadano gli eventi, ma va incontro al suo destino. Questa fermezza e determinazione sono incompatibili con i tentennamenti che invece spesso caratterizzano i discepoli. 
Da una parte sono tentati di confondere l’andare dietro a Gesù come una marcia trionfale, durante la quale punire chi si oppone. È la tentazione dei discepoli più intimi di Gesù, Giacomo e Giovanni: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». È l'insidiosa tentazione del potere, molto diffusa.
Dall’altra sono tentati di sedersi, di "nidificare" adagiandosi su false sicurezze, mentre il Figlio dell’uomo non ha nemmeno dove posare il capo. Oppure di voltarsi indietro, delusi da una sequela diventata troppo esigente.
Nell’arco tracciato da questi due estremi ci stiamo dentro più o meno tutti, chi per un motivo, chi per l’altro. Il fatto è che seguire il Cristo pellegrino è fondamentalmente destabilizzante.
Ma seguirlo, in fondo, è l'unico modo concreto per mostrare che cosa significa "credere".




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