Il viaggio

"E chi è il mio prossimo?" L'anonimo dottore della Legge che si alza per "mettere alla prova" Gesù vuole in fondo giustificare la propria mancanza d'amore. Vorrebbe un identikit preciso del prossimo per poterlo amare. Dio certo non lo si può vedere, ma il prossimo sì. La Torah comanda di "amare" il prossimo, ma che volto ha? Come si fa a riconoscerlo? Possono apparire domande sincere, ma in questo caso suonano come delle scuse (Luca precisa da dove muove la domanda: volendo giustificarsi, disse a Gesù...). Ma l'amore di Dio e per il prossimo, quando restano una pia intenzione senza diventare gesti concreti, sono come una scritta sulla spiaggia del mare che scompare alla prima onda. "Amare" è un verbo che si declina con lo zaino più che con lo sdraio...
Gesù mostra a questo dottore che proprio la sua perfetta conoscenza della Legge può diventare un comodo alibi in fondo per non amare, per restare con il cuore indurito, senza lasciarsi ferire dalla presenza del prossimo. 
Il Samaritano, che era in viaggio, annota Luca, vive in una condizione di precarietà maggiore rispetto al sacerdote, "che scendeva per quella medesima strada", e del levita. Di loro Luca non dice che erano "in viaggio", suggerendo l'idea che potesse essere uno spostamento abituale per loro, un tratto di strada abituale. Invece il samaritano in viaggio condivide con il malcapitato i rischi della strada e per questo vide e ne ebbe compassione. Il resto è una cascata di verbi  all'insegna della solidarietà fattiva: farsi vicini, fasciare le ferite, farsi carico, prendersi cura...
Gesù non umilia il dottore chiedendogli se ha capito, ma lo invita a fare anche lui così. 
Quasi a suggerirgli che per capire chi è il prossimo non servono tanti studi, ma un cuore che sa vedere e provare compassione. 


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