Fino alle nubi
Riscalda il cuore sapere che il Signore «ascolta la preghiera dell’oppresso, non trascura la supplica dell’orfano, né la vedova, quando si sfoga nel lamento» (Sir 35,15-17). La sua accoglienza benevola fa salire in alto la preghiera, che arriva «fino alle nubi».
In un tempo in cui siamo tutti molto irritabili, nervosi e di corsa - complice la continua iperconnessione e la fatica di un sano digital detox –, ascoltare le parole del libro del Siracide fa quasi improvvisamente cambiare prospettiva. Questa lode alla preghiera del povero – oggi diremmo, con Francesco, dello “scartato” – è come un balsamo per l’anima. Ti fa recuperare le giuste proporzioni delle cose. Ti aiuta a vedere le stesse cose di prima con maggiore fiducia.
È quel senso sapiente della misura delle cose della vita e nel rapporto con Dio che è decisamente sfuggito di mano al pubblicano della parabola lucana (cf. Lc 18,9-14). Come quasi sempre accade nelle parabole, le cose sono presentate in modo talmente esagerato da far entrare subito in empatia con il povero pubblicano, che si ferma a distanza, non alza gli occhi al cielo e si batte il petto in modo sincero.
Luca avvisa il lettore che la parabola è stata pronunciata per smascherare coloro che attorno a Gesù avevano «l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri». Un antico vizietto che si è infilato anche tra le righe dei discepoli. E di qualche nostalgico tradizionalista. "Essere giustificati" nella tradizione giudaica vuol dire essere trovati giusti davanti a Dio. E questo, scrive Paolo ai Filippesi (cfr. Fil 3,9), è possibile solo per grazia e non per meriti personali.
Vale anche per oggi? Forse bisogna aggiornare un poco il linguaggio, ma la sostanza non camabia. Tendenzialmente a ben vedere tutti ci sentiamo così poco “a posto” con il Signore e con gli altri, al punto che questo rischia di diventare una sorta di alibi collettivo per non impegnarsi più per la giustizia ed il bene: "Il mondo va a rotoli? E che ci posso fare?". Siamo diventati esperti in autoassoluzione e una riflessione sul sacramento della confessione pubblicata su Avvenire qualche giorno fa lo ha ricordato. Chiamando in causa (giustamente, per una volta) anche i preti.
Le nostre vite sono diventate così terribilmente complicate, vero! Però la parabola ricorda che quello che salva è l’umiltà del cuore, non le giustificazioni che possiamo presentare per le nostre libere scelte.
È la consapevolezza del limite che fa salire la preghiera. Ma è la certezza nella fede di essere accolti con infinita benevolenza così come siamo, poveri peccatori, che la trasforma in danza di lode!
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