I signori del mondo

"Se vuoi raggiungere la pace dell’anima e la felicità, abbi pur fede, ma se vuoi essere un discepolo della verità, allora indaga". Così scriveva il giovane Friedrich Nietzsche alla sorella Elizabeth in una lettera del 1865 (cf. Francesco, Lumen fidei 2).
L'idea che il cristianesimo sia una religione consolatoria rispetto alle tribolazioni del mondo con il tempo si è diffusa anche tra chi non frequenta Nietzsche. Il sospetto che in fondo la fede funzioni come analgesico rispetto alle difficoltà della vita ed offra una via di fuga è molto diffuso. 
Eppure, a ben vedere, nel cristianesimo c'è qualcosa di irriducibile a questa lettura e la solennità di Tutti i Santi ne è una prova.
In fondo l'invito è quello di vedere il cielo non chiuso, ma aperto (cf. Gv 1,51). Si tratta di "vedere" le cose di ogni giorno dal punto di vista di coloro che sono passati attraverso la "grande tribolazione" (cf. Ap 7,14) e che ora stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte.
Non sono scene tratte da The Game of Thrones. Non è nemmeno una grande adunata, una sfilata o una rimpatriata. È una visione: la visione di una moltitudine immensa di gente in piedi davanti all’Agnello.
È bello pensare che sono loro i veri «signori del mondo», come li definisce un’antifona della liturgia odierna ("O Signore, com’è grande il tuo nome! Hai coronato di gloria i tuoi santi, li hai fatti signori del mondo"). 
Il mondo non appartiene a coloro che se ne servono, ma a coloro che servono Dio rimanendoci "dentro": Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo (Gv 17,14).
Ecco perché la liturgia abbina alla visione dell'Apocalisse la pagina delle beatitudini (cf. Mt 5,1-12a): perché la santità brilla nelle avversità di questo tempo e di questo mondo. Si tratta di non allontanare il calice  (cf. Lc 22,42), perché solo in quel modo si adempirà ogni giustizia.
I santi non si godono la loro quota cento in paradiso. Non vivono una condizione privilegiata, ma continuano a servire, intercedendo. 
È questo che ci salva (e che salva la Chiesa). 



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