La trappola
La prospettiva di una
vita oltre la morte non appartiene esclusivamente alla Rivelazione del
Nuovo Testamento, ma era presente già nella coscienza di fede di Israele verso
la fine dell’epoca ellenistica, come testimonia il libro dei Maccabei.
Non tutti, però in
Israele, credevano alla risurrezione. I sadducei, ad esempio, rifiutavano di
considerare la fede nella risurrezione come parte della rivelazione originaria
di Mosè, la Torah. La loro immagine di Dio è molto rigida, perché
collegata ad un’interpretazione ristretta della Legge. Si considerano i garanti
della vera tradizione di Israele e perciò si arrogano il diritto di rivolgersi
a Gesù per fargli «una domanda».
La sicumera con cui si
avvicinano a Gesù per metterlo alla prova non riesce comunque a spazientire il
maestro. Con pazienza e sapienza, Gesù mostra loro di essere fuori strada e di
credere nel Dio dei morti e non dei viventi.
L’arte
dell’interpretazione delle Scritture richiede non solo una conoscenza precisa
dei testi, ma una relazione viva con il Signore, una frequentazione che ha a che
fare con la vita.
L’immagine di Dio che
hanno i sadducei, che si ritenevano superiori a tutti gli altri, è di fatto
quella di un Dio dei morti. Ma non è questo il Dio di Gesù
Cristo: Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi.
Gesù non dice:
"dei vivi", ma "dei viventi" (zonton: ζώντων), cioè
di coloro che vivono per lui.
Si potrebbe dire: di
coloro che vivono alla sua presenza (πάντες γὰρ αὐτῷ ζῶσιν). È
il senso delle parole di Paolo nella lettera ai Romani, quando afferma che
Dio dà vita ai morti e chiama all’esistenza tutte le cose che non
esistono (Rm 4,17).
Dio è amante della
vita e dei viventi: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche
se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi
questo?». (Gv 11,25-26).
È questa la fede che
ci fa vivere nella certezza che ci incontreremo nuovamente con quanti abbiamo
amato in questa vita.
Ed è questa speranza
che riaccende nel cuore il calore della carità fraterna.
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