La domenica delle donne

È portentoso quello che succede.

E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.

Forse ci sono doni.

Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.

(Mariangela Gualtieri, Nove marzo duemilaventi)

Serviva una donna che ha il dono della parola per decifrare l'enigma di questa precipitosa paralisi dei giorni. 
Forse davvero c'è dell'oro in queste settimane improvvisamente "vuote". Anche in questa terza domenica di "Coronesima",  in cui la vita pulsa e la primavera esplode, mentre le strade restano deserte.

Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti

ch’era troppo furioso

il nostro fare. Stare dentro le cose.

Tutti fuori di noi.

Agitare ogni ora – farla fruttare.


Ci dovevamo fermare

e non ci riuscivamo.


Proprio in questo frangente la Parola risuona in modo inedito e "nuovo": In quei giorni, il popolo soffriva la sete per mancanza d'acqua (Es 17,3). Sono parole antiche che parlano al nostro oggi, a quella "sete eucaristica" che si fa più lancinante in molti, mano a mano che passano i giorni e le settimane. Eppure, come ha scritto Marina Corradi, ci può essere un'altra strada: "E se la vera Quaresima che ci viene chiesta in questo marzo fosse proprio l’abbandono della via consueta, e il lasciarci condurre per sentieri sconosciuti, faticosi, per alcuni drammatici; dentro città irriconoscibili, fra familiari e amici sgomenti?".
La lunga pagina del Vangelo di questa terza domenica di Quaresima racconta di una strada e di incontro. La strada è quella verso il pozzo. Una strada anch'essa deserta (era circa mezzogiorno, ci informa Giovanni). Quella strada custodiva silenziosamente e gelosamente i segreti della donna samaritana. Nessuno la vedeva, nessuno, in fondo, la voleva. Quella donna viveva una solitudine più forte delle tante relazioni che aveva.  Ecco perché la donna samaritana non desiderava in quel momento incontrare nessuno. Voleva evitare gli sguardi, i sorrisini, i convenevoli della ritualità quotidiana. Forse avrebbe preferito anche lei fare quello che stiamo facendo noi adesso: restare a casa, non incontrare nessuno. 
E’ in questo frangente esteriore ed interiore che avviene l’imprevisto. Giovanni omette qualsiasi dettaglio sull'impatto visivo tra i due, ma fa capire a noi lettori che è Gesù, ancora una volta a prendere l’iniziativa: «Dammi da bere». Lo chiede così, senza nemmeno aggiungere “per favore”. Quasi un imperativo, più che una richiesta di aiuto. 
Il rabbi giudeo chiede ad una donna, straniera e appartenente ad un’altra religione, di darle da bere. In un attimo quell’incontro imprevisto tra un uomo e una donna al pozzo di Giacobbe si trasforma in un incontro tra due mondi, che lascia i discepoli ai margini. 
Il pozzo è una delle immagini che i salmi usano per descrivere il cuore dell’uomo, sempre assetato di novità, di pienezza, di bellezza, di felicità. 
Con la sua richiesta Gesù innesca un dialogo che assomiglia ad una partita a scacchi, dove i due sfidanti si studiano. Studiano le possibili mosse. Ma Gesù non si comporta da avversario. Si comporta piuttosto come un’abile ostetrica, capace di far uscire dalla donna samaritana quel grido che portava dentro da tempo: Signore, dammi quest’acqua perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua. Una richiesta che tradisce tutta la sua fatica e tutta la sua stanchezza di recarsi a quel pozzo. 
La domanda non è più: Da dove dunque prendi quest’acqua?, ma si sposta sull’identità di Gesù. La donna samaritana prova a giocare d’anticipo, ostentando sicurezza dopo che Gesù la riporta alla realtà della sua vita e del suo passato: Vedo che sei un profeta! Non si sente giudicata da Gesù, che non la umilia, ma la rispetta. Non le chiede nulla rispetto a quella convivenza, non pretende neppure di decidere per lei. Dio non giudica.
Ecco perché lei abbassa le difese, anche se rinvia al futuro la resa dei conti: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 
Ma quella nascita iniziata non si può interrompere: «Sono io, che parlo con te». Gesù, sorgente di vita, attraverso il dono dello Spirito fa rinascere quella donna. E l’anfora abbandonata ai piedi del pozzo testimonia di una vita nuova che è iniziata dopo quell’incontro.


Preghiera della donna di Samaria

Quel giorno
al pozzo
non m’aspettavo nessuno.

Sotto il sole più caldo
lo vedo
assetato
e così povero 
come chi 
per bere 
ha solo la coppa
delle sue mani.

Ha grumi di deserto
nei capelli
e un silenzioso desiderio 
che affiora negli occhi.

Uomo assetato
d’acqua e d’incontri.
Uomo
che aspetta me.

Mi dice:
ho sete.

Come me
anche tu hai sete
uomo solo.

Io ti dò acqua di pozzo
e tu mi dici:
guarda nel pozzo del tuo cuore.

All’orlo del pozzo del mio cuore
mi avvicino
dò solo un’occhiata
ho paura di cadere.

E rispondo: 
solo nero e buio
nient’altro contiene il mio cuore.

Ma tu mi dici:
scendi i gradini
va’ nel profondo,
senza paura del buio.

E sotto ho trovato un lago di luce.
Ho bevuto l’acqua e mi sono immersa
e sono risalita imbevuta d’azzurro.

Ho toccato con la mano il mio uomo 
e anche lui ho contagiato d’azzurro.
Ho toccato con la mano mio figlio
e anche lui ho contagiato di luce.

Sorpresa dalla gioia
non ho avuto dubbi:
era Lui!
Il suo nome era Dio!

Ed era intimo a me
come può esserlo un bambino dentro la madre
o un pane dentro la bocca.

E io che lo avevo cercato nel tempio,
io che lo avevo cercato sul monte
e Lui era lì.

Io il tempio
io il monte
dove vive Dio.

Il Dio delle donne, 
delle donne vuote, delle donne assetate,
il Dio delle donne innamorate,
il Dio del desiderio,
delle zolle riarse.
Il Dio che si trova nel cuore,
nel pozzo, 
proprio dentro il mio vuoto.

(Marina Marcolini)

Buona domenica, nel silenzioso incontro con l'invisibile Sorgente!

don Stefano Didonè




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