Non ultima è la morte
Chi nella vita ha perso un fratello o un amico avverte subito l'eco profonda di queste semplici, ma tremende, parole: "Ecco, colui che tu ami è malato" (Gv 11,3). Sono come un sasso che cade nel pozzo della memoria, agitando le acque di lacrime dimenticate, ma ancora presenti.
Anche Gesù sente l'impatto con la malattia e la morte. E soprattutto del dolore inconsolabile dei suoi amici. Fino a condividerne il pianto. Davvero è difficile credere in certi momenti che la potenza di Dio si manifesta non dopo la croce, ma nella croce. Non dopo la morte, ma nella morte. Eppure è proprio questo il senso ultimo della singolare "autocertificazione" di Gesù: "Io sono la risurrezione e la vita". La vita vera è la partecipazione alla Sua vita, senza lasciare che il cattivo odore della morte contagi i nostri cuori: Lazzaro, vieni fuori! (Gv 11,43). Non si tratta di risparmiare un amico più fortunato di altri. Gesù non fa mai favoritismi. Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio (Gv 11,4). Quale malattia? Rimane il mistero su di essa, così come misterioso è il virus che ci ha sconvolto la vita. E che la cambierà anche dopo. Ma questo mistero è inglobato nel mistero più grande: la vita del Figlio ha inghiottito la morte, come il cielo di primavera inghiotte le tenebre dell'inverno. E la vita fiorisce.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
E in questa attesa, viviamo la nostra fragilità nella fraternità.
Buona domenica!
don Stefano
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