Quanto vale una vita?

Il profeta Geremia tratteggia con poche pennellate un contesto relazionale molto problematico: si sente assediato, vive circondato da amici dalla doppia faccia, che invece di sostenerlo, in realtà attendono un suo passo falso. Non uno o due, ma tutti: Tutti i miei amici aspettavano la mia caduta.  È una situazione estrema, ma che ricorda dinamiche umane molto tristi, eppure abbastanza frequenti. In questa situazione di angosciosa difficoltà, il profeta sperimenta la vicinanza intima del Signore: il Signore è al mio fianco come un prode valoroso. 
Geremia rimane il modello di ogni credente che vive sulla propria pelle, insieme al dramma dell’incomprensione e della solitudine, la fedeltà di una Presenza assolutamente gratuita. 

Anche Gesù sperimenta una particolare intimità con il Padre ed invita i suoi discepoli a restare interiormente liberi: non abbiate paura degli uomini. "Non abbiate paura", un invito costante nelle Scritture, risuonato con forza dal balcone di san Pietro il 16 ottobre 1978: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!». 
Allora, però, erano altre le paure. Non certo quelle di oggi. Anche la paura conosce le sue stagioni. Oggi la paura è quella di un’invasione da parte di un nemico invisibile, eppure micidiale. Che minaccia la vita umana, specie quella più fragile. Al punto da metterne in discussione il valore.
Voi valete più di molti passeri. Quanto vale una vita umana? Durante il dramma della pandemia, l’interrogativo si è fatto estremamente drammatico e lancinante, complice la scarsità dei respiratori. 
Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima. Dobbiamo ammetterlo: il lessico dell’anima ci è diventato progressivamente estraneo. Se ne è parlato troppo e forse in un modo non sempre corretto per lungo tempo, cavalcando un dualismo che è lontano anni luce dal Vangelo. Poi è seguito un lungo silenzio. I due mesi di lockdown hanno aiutato forse qualcuno a riscoprire il gusto di prendersi cura della propria interiorità. Non per tornare a pensare il corpo come la prigione dell’anima, ma per scoprire che non è possibile una relazione con Dio e con gli altri in cui non sia in gioco il nostro cuore. 
È un’autenticità necessaria ed indispensabile che non possiamo permetterci di perdere e dimenticare. Soprattutto in questi tempi difficili. 
Buona domenica!
Don Stefano




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