La burrasca

Le letture di oggi accontentano tutti perché parlano del mare e della montagna. Sono luoghi fisici, ma anche altamente simbolici, nei quali possiamo vivere l’incontro con Dio. E con le nostre paure. Gesù si manifesta camminando sulle acque del lago di Tiberiade, mentre Elia incontra Dio nella solitudine dell'Oreb.

“È durante la tempesta che conosciamo il navigatore”, diceva Seneca. Una frase per esaltare le doti umane dei comandanti eroi. Gesù, invece, non lo vediamo mai al timone di una barca. I racconti ci dicono che usava le barche di altri, le prendeva in prestito. Oppure lo troviamo che dorme. Mai al comando. Perché il suo potere è più ampio del saper scarrocciare una barca. Solo che, a differenza di noi, non lo esibisce e non lo ostenta. Il Pantocratore ("Colui che ha potere su tutte le cose") si fa vicino con la mano tesa a Pietro. 

Nel racconto vi è in gioco una radicale convinzione di fede: Dio non lo incontriamo nella calma della sera, ma nella tempesta della notte. La presenza di Dio nella nostra vita non ci scampa dalle tempeste, ma, al contrario, la sperimentiamo nelle tempeste, quando la barca si inclina pericolosamente. Certo, noi non vorremmo che fosse così. Vorremmo un rapporto con Dio meno burrascoso e più rassicurante. Ma l’esperienza della vita ci insegna che accade proprio così. Basti pensare solo a questa strana estate 2020. La "tempesta" del Covid è passata, ma è solo una calma apparente. I contagi risalgono e non si sa bene che cosa succederà a fine estate. Insomma, c’è un clima di incertezza e di depressione. Eppure, è proprio il tempo in cui possiamo fare esperienza dell’incontro con il Risorto, che è un fantasma solo per la nostra immaginazione incatenata alle paure più profonde, come quella di morire. Potremmo incontrarlo nella preghiera, ma spesso facciamo fatica a ricavarci un tempo e uno spazio, proprio come faceva Gesù nel suo rapporto con il Padre (salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo). Ecco perché non sappiamo riconoscerlo quando ci viene incontro e lo percepiamo come un fantasma: siamo prigionieri delle nostre paure e dei nostri dubbi. Ci ostiniamo a pensare che Dio debba comportarsi in un modo piuttosto che in un altro. Altrimenti, secondo noi, quello non è Dio. E allora affondiamo, come Pietro. Oppure ci ostiniamo, come Elia, a pensare di essere gli unici buoni e giusti. 

Il profeta che sta fuggendo dalla regina Gezabele, che vuole farlo fuori, è convinto di essere rimasto l’unico fedele a Dio. Si sente solo e scoraggiato. Questa sindrome lo porta a recarsi sul monte, ma il racconto non indugia sulla sublimità di quell'esperienza privilegiata, ma sul rimprovero di Dio al profeta: “Che cosa fai qui, Elia?”, smascherando il suo compiacimento interiore di pensarsi un po' come Highlander. No, lui non è l’unico testimone dell’alleanza. Il Signore si è riservato i suoi testimoni senza l’aiuto del profeta. E viene rimandato al popolo: sarà questa obbedienza a sottolineare la verità della ‘visione’ sul monte e a rimettere in pista Elia e a farlo sentire solidale con il popolo. 

Come a dire: le manifestazioni straordinarie non sono ad uso e consumo di chi le vive, ma per confermare la solidarietà di un percorso. Detta alla Francesco: "Siamo tutti sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. (...) Non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme" (Meditazione del 27 marzo 2020).

Buona domenica!

don Stefano 



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