Capanne e scarponi

In questi giorni sembra sia già primavera, ma sappiamo che potrebbe esserci qualche improvviso "colpo di coda" del freddo. Qualcuno esce già in manichette corte, ma la maggioranza è guardinga.

In queste settimane è in corso la più grande campagna vaccinale della storia della sanità moderna, eppure non mancano i dubbi sull'efficacia e sulle conseguenze a lungo termine dei vaccini.

Sono cose diverse, certo, ma il minino comun denominatore è l'incertezza, inseparabile compagna di viaggio da un anno a questa parte. 

Anche Pietro, Giacomo e Giovanni, portati da Gesù sul monte Tabor per vivere il privilegio di un'esperienza "mistica", sono smarriti: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.

La costruzione delle capanne, che ricorda un po' i tanti "capitelli" che caratterizzano le nostre terre, poteva dare loro qualche minimo senso di sicurezza, di gestione della situazione: controlliamo bene il terreno, verifichiamo dove piantare le capanne, sentiamo dove tira il vento, organizziamo con i pali, ecc...

Quando siamo smarriti e la profondità di un'esperienza ci intimorisce, ci buttiamo sul fare. Eppure la voce indica la strada dell'ascolto, più che dell'agire: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!»

La Quaresima è un tempo di rinnovamento, di trasformazione. Di "metamorfosi" proprio come accade a Gesù sul Tabor. E’ un'anticipazione della bellezza del Risorto. Il volto di Gesù risplende come nel giorno di Pasqua. 

Gesù sale sul Tabor come Abramo sale sul monte per sacrificare il figlio Isacco. Gli sembra sia quella la "volontà di Dio", per quanto crudele. Scoprirà che non è così. Abramo porta con sé un figlio inconsapevole. Gesù porta con sé dei discepoli inconsapevoli. 

C'è poco da fare: per incontrare Dio occorre mettersi in cammino, fare fatica, salire di quota. Dio non fa consegne a domicilio. Ha sì dei rider, ma si muovono per altro. Servono buoni scarponi, più che capanne. I discepoli vorrebbero restare nella beatitudine di quel momento, Gesù li invita a tornare con i piedi per terra, a scendere di nuovo nella compagnia degli uomini. 

Nel rapporto con Dio non ci sono sicurezze. Nemmeno quella di una tenda. Perché il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo. «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». Ascoltare vuol dire in fondo fare spazio, mettere l’altro prima di se stessi. Accogliere l’altro più che se stessi e i propri bisogni. Sembra chiedere troppo, in realtà è l'unica strada, la porta stretta vero la vera beatitudine.

Scendiamo e lasciamo che il vento dello Spirito ci spettini almeno un po'.

Buona domenica!

don Stefano




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