Linfa per tutti

L’immagine di questa domenica, la vite e i tralci, può apparire meno "dinamica" rispetto a quella della settimana scorsa: il buon pastore si muove con il suo gregge, si sposta, agisce. La vigna è una pianta. Non si muove. Apparentemente sembra tutto fermo. Eppure, non è così. I recenti studi di neurobiologia vegetativa dimostrano che anche le piante hanno una forma di intelligenza, di memoria e soprattutto di capacità adattiva dalle quali possiamo imparare molto. E forse non è un caso che Gesù dica di sé: io sono la vite vera. 

Nel capitolo 12 della lettera ai Romani Paolo presenta la Chiesa con l’immagine del corpo umano: Cristo il capo e noi le membra. Gesù, invece, presenta un’immagine diversa di Chiesa, ispirata al mondo "vegetale", dove non c'è una testa, cioè un centro di potere, ma un’unica linfa che scorre per tutti. E nessun tralcio può dire all’altro io sono più importante di te. Siamo tutti suoi. 

Il vignaiolo resta sempre il Padre, ma il rapporto è mediato da Gesù. Dentro i tralci scorre la linfa vitale. Se il tralcio è reciso non passa più la linfa e si secca. I tralci sono i rami di un anno, lignificati attraverso il processo di agostamento. È legno vivo, in cui scorre la linfa. 

Una prima considerazione che possiamo ricavare da questa immagine potente è che la fede cristiana non è un ideale, ma una radice. 

Non è una dottrina che conosci con la testa, ma una linfa che ti scorre dentro. 

Non è un insieme di principi, magari non negoziabili, ma è una relazione da vivere, un restare morbidi, docili all’azione dello Spirito, come lo è il tralcio unito alla vite. 

Il tralcio staccato dalla vite è secco e rigido. Si sfoglia, perde pezzi. Rimanere uniti a Lui vuol dire quindi rimanere elastici, morbidi. Non inaridire come persone. Non si tratta infatti di rimanere e basta (sarebbe volontarismo), ma di rimanere in Lui. E per rimanere in Lui bisogna averlo incontrato e frequentarlo, perché non resti uno sconosciuto.

In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Che cosa vuol dire “portare molto frutto”? 

Trovo eloquente la testimonianza di una donna che ha portato molto frutto nella sua vita, Annalena Tonelli, uccisa in Somalia nel 2003. Una donna, laica, non religiosa, che ha donato la sua vita per gli ammalati di tubercolosi. Una missionaria laica italiana come Nadia De Munari, 50 anni, originaria di Schio (Vicenza), uccisa in Perù una settimana fa a colpi di machete, forse durante un tentativo di rapina.

Scriveva Annalena:

Nulla mi importa veramente al di fuori di Dio, al di fuori di Gesù Cristo. I piccoli e i sofferenti… io impazzisco. Perdo la testa per i brandelli di umanità ferita. Più sono feriti, chiusi, maltrattati, disprezzati, senza voce, di nessun conto gli occhi del mondo, più io li amo e questo amore è tenerezza, comprensione, tolleranza, assenza di paura, audacia. Questo non è un merito, ma è un’esigenza della mia natura. Ma certo che in loro io vedo Lui, l'agnello di Dio che patisce nella sua carne i peccati del mondo e se li carica sulle spalle. Che soffre ma con tanto amore. Perché nessuno è al di fuori dell'amore di Dio.

L'uomo incapace di perdono, l'uomo che ama ferire, l'uomo che vuole la vendetta, l'uomo falso, non sono uomini cattivi incapaci di perdono o necessariamente falsi. Lo solo perché non hanno incontrato sul loro cammino una creatura capace di comprenderli, di amarli, di farsi carico delle loro colpe. Ai piedi Dio noi ritroviamo ogni verità perduta tutto ciò che era precipitato nel buio diventa luce tutto ciò che era tempesta si acquieta tutto ciò che sembrava un valore ma che valore non è appare nella sua veste vera e noi ci risvegliamo alla bellezza di una vita onesta sincera buona fatta di cose e non di apparenza, intessuta di bene, aperta gli altri e in tensione continua affinché gli uomini siano una cosa sola.

Buona domenica!





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