La stanza

La solennità del Corpus Domini cela una potenza di vita che non è giustificabile solo per motivi storici di ordine "apologetico" (l'esaltazione della presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche in reazione all'eresia dei Patarini). 

«Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». I discepoli si mostrano servizievoli davanti al Maestro, ma Lui li spiazza: tutto è già pronto. «Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta». Eppure qualcosa da preparare c'è ancora («lì preparate la cena per noi»). 

Ma che cosa c'è da preparare se la sala è arredata e "già pronta"? Che cosa non è ancora pronto? 

Non è pronta quella "grande sala" che è il cuore dei discepoli (cioè il nostro), spesso ingombrata di cianfrusaglie, di vecchi oggetti inutili e polverosi. Una rischiosa confusione che il Maestro ha ben presente (si veda la parabola di Matteo 12,43-45) e che l'autore della lettera agli Ebrei chiama "opere di morte", ad indicare quella parte di responsabilità che c'è quando, invece di buttare via, accumuliamo ancora. 

Scriveva Edith Stein: “In tutto il bello e il buono che incontra in sé e intorno a sé, l’essere umano avverte la presenza di qualcosa di più grande di sé e di tutto ciò che lo circonda e si sente spinto a cercarlo e a servirlo. Ogni uomo è un cercatore di Dio” (La struttura della persona umana, Città Nuova, p. 210). Riprendendo la celebre immagine di santa Teresa d'Avila, se l'anima è come un castello, il rischio è quello di trovarsi chiusi fuori avendo perso la chiave: “Al di fuori della cinta delle mura si estende il mondo esterno, nell’appartamento più interiore dimora Dio. Fra questi si trovano le sei dimore che circondano quella più profonda interiore (la settima). Gli abitanti però sono soliti gironzolare all’esterno o si arrestano alle mura di cinta, non sanno nulla dell’interiore del Castello. Veramente è strano, proprio una situazione patologica, che qualcuno non conosca la sua propria casa. In realtà però, ci sono molte anime ‘così ammalate e così abitualmente tanto occupate con le cose esterne…, che appare loro impossibile volgersi nel loro interiore. L’abitudine poi, di procedere sempre con i rettili e gli animali che stanno intorno al castello, le ha rese simili a loro" (E. Stein, Il castello dell’anima). 

In sostanza, invece di fare pulizia e ordine, lasciamo regnare sovrana l'ambiguità. E questo ci fa soffrire. Molto, perché ci fa sentire estranei in casa nostra. Eppure non ci dobbiamo mai arrendere nel lottare contro i nostri demoni interiori, perché l'Eucaristia non è il premio per gli eletti, ma il farmaco per i malati (il «farmaco della mia debolezza», dice Cabàsilas). Non è solo il "pane degli angeli" (oggi ridotto a una marca di lievito), ma è anche il "pane dei pellegrini".

Ecco forse un buon motivo per non disperare mai, nemmeno nei momenti più bui. 

Buona domenica!




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